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Santi del 29 Settembre

Il mio Santo > I Santi di Settembre

*Beato Abbondio Martín Rodríguez - Sacerdote e Martire (29 Settembre)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Missionari del Sacro Cuore di Gesù" Beatificati nel 2017 - 29 settembre
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Villaescusa del Ecla, Spagna, 14 aprile 1908 - Seriñá, Spagna, 29 settembre 1936

Abundio Martín Rodríguez nacque a Villaescusa del Ecla presso Palencia il 14 aprile 1908. Entrò tra i Missionari del Sacro Cuore di Gesù e, dopo l’ordinazione sacerdotale, fu assegnato alla Scuola Apostolica di Canet de Mar, come professore ed educatore. Divise con i confratelli l’espulsione dalla casa e la prigionia forzata nel parco adiacente alla Scuola Apostolica. Con sei compagni fuggì dal campo di prigionia improvvisato dov’erano stati costretti, ma dopo quasi un mese di peregrinazioni caddero nelle mani dei miliziani. Al momento della morte aveva 28 anni; era religioso da undici e sacerdote da cinque. È stato beatificato a Girona il 6 maggio 2017, insieme ai suoi compagni di martirio.
Abundio Martín Rodríguez nacque a Villaescusa del Ecla presso Palencia il 14 aprile 1908. Entrò tra i Missionari del Sacro Cuore di Gesù, professando i primi voti l’8 ottobre 1925. Completò la sua formazione in Francia e, tornato in Spagna, a Barcellona e Logroño dove fu ordinato sacerdote il 19 settembre 1931. L’anno seguente fu assegnato alla casa di Canet de Mar, come professore ed educatore nella Scuola Apostolica.
Desiderava partire come missionario all’estero, ma intanto impiegò il suo servizio come religioso eccellente e paziente, dotato di un carattere sensibile, delicato e affettuoso, che gli valeva la stima dei confratelli. Era anche un valido organista.
Il 21 luglio 1936, nel pomeriggio, arrivò alla porta della scuola un drappello di miliziani comunisti, i quali iniziarono a sparare per aria allo scopo di segnalare la propria presenza. Un rappresentante del Comitato rivoluzionario locale si presentò con l’ordine di far sgombrare il convento.
Padre Abundio divise con i confratelli la prigionia forzata nel parco che circondava il santuario della Madonna della Misericordia, che era vicino alla Scuola Apostolica, fino al tentativo di fuga nella notte del 3 agosto 1936.
Insieme a sei compagni, vagò per le montagne e per i boschi, domandando rifugio e indicazioni per riuscire a raggiungere la frontiera con la Francia. Il 28 settembre, dopo quasi un mese di peregrinazioni, capitarono nella casa di uno dei capi dei Comitati. Furono quindi indirizzati in un luogo chiamato La Ginella, ma là erano attesi da un gruppo di miliziani, che li catturarono all’istante.
Furono quindi condotti alla sede centrale del Comitato, a Sant Joan de les Fonts. Lungo il tragitto, le guardie domandarono loro se portassero armi e se fossero frati o sacerdoti. Replicarono che di armi non ne avevano, ma erano dei religiosi; tanto bastò per segnare la loro fine terrena.
La sera del 29 settembre 1936, i sette Missionari furono caricati su di un autobus requisito dai miliziani, legati a due a due, mentre l’ultimo aveva le mani legate dietro le spalle. Il veicolo, preceduto da un’automobile, si fermò in un punto della strada verso Seriñá, sul ponte del fiume Ser, dove sorgeva una piccola casa in rovina.
Furono spinti fuori dall’autobus i primi quattro condannati, mentre uno dei Missionari supplicava: «Non uccideteci, che male abbiamo fatto?». Vennero quindi allineati contro il muro in rovina e fu loro ordinato di voltare le spalle.
A quel punto, si udì, forte e chiara, la voce di padre Antonio Arribas Hortigüela: «I codardi muoiono di spalle, e noi non siamo né codardi né ladri. Voi ci uccidete perché siamo religiosi. Viva...!». Plausibilmente  stava per gridare: «Viva Cristo Re!», ma la sua professione di fede fu troncata da una scarica di mitragliatrice. Uccisi i primi quattro, furono fatti scendere dal mezzo gli altri tre, che ebbero la stessa sorte.
I corpi dei Missionari, verso sera, furono raccolti e portati all’obitorio. L’indomani, 30 settembre, furono seppelliti in due fosse vicine, quattro in una e tre nell’altra. Rimasero in quel punto fino al 30 marzo 1940, quando la sepoltura venne debitamente identificata e le ossa vennero traslate in una nicchia del cimitero di Canet de Mar.
Padre Abundio Martín Rodríguez, insieme ai suoi sei compagni Antonio Arribas Hortigüela, José Vergara Echevarría, José Oriol Isern Massó (sacerdoti), Gumersindo Gómez Rodrigo, Jesús Moreno Ruiz e José del Amo y del Amo (fratelli coadiutori), è stato beatificato il 6 maggio 2017 a Girona.

(Autore: Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Abbondio Martín Rodríguez, pregate per noi.

*Alarico (Adelrico) - Eremita (29 Settembre)

Etimologia: Alarico = re di tutti, dal sassone
Martirologio Romano: Nell’isola di Ufnau sul lago di Zurigo nell’odierna Svizzera, Sant’Adelríco, sacerdote ed eremita.
Visse nel sec. X. Alternò la vita eremitica nell'isola di Ufnau sul lago di Zurigo (dove morì ca. il 973) a quella monastica nell'abbazia benedettina di Einsiedeln, dove ebbe l'ufficio di «custos» (addetto all'assistenza dei pellegrini?).
Per ispirazione divina avrebbe trattenuto santa Wiborada (martire nel 926) da eccessi di penitenza e avrebbe compiuto miracoli, fra cui quello di camminare sul lago. La santità della vita e i miracoli avvenuti per sua intercessione dopo la morte gli meritarono gli onori dell'altare.
Le sue ossa furono probabilmente esumate nel 1141 dal cardinal Theodwin, vescovo di Porto e legato pontificio a Ufnau, traslate a Einsiedeln nel 1659 e riportate a Ufnau il 1° ottobre 1663.
La sua festa, un tempo fissata al 30 settembre, si celebra ora il 28 dello stesso mese. La sua memoria ricorre il 29 settembre nel Menol. Ord. S. Benedicti di Bucelino, e un'immagine del santo è, alla stessa data, in Ranbeck, Kalend. Annuale Bened., Augusta 1677.
La tradizione per cui Alarico sarebbe stato figlio del duca svevo Burckhard e della duchessa Reginlinda, la quale sarebbe morta di lebbra nella cella cedutale da Alarico, dopo aver fatto edificare due chiese, è stata dimostrata priva di fondamento da R. Henggeler: Reginlinda non ebbe figli e non fu mai a Ufnau.

(Autore: Alfonso M. Zimmermann - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Alarico, pregate per noi.

*Beato Antonio Arribas Hortigüela - Sacerdote e Martire (29 Settembre)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Missionari del Sacro Cuore di Gesù" Beatificati nel 2017 - 29 settembre
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Cardeñadijo, Spagna, 29 aprile 1908 - Seriñá, Spagna, 29 settembre 1936

Antonio Arribas Hortigüela nacque a Cardenadijo presso Burgos il 29 aprile 1908. Dopo la scuola media frequentata nel Seminario Minore dei Missionari del Sacro Cuore di Gesù a Canet de Mar, entrò nel noviziato della stessa congregazione. Professore alla prima esperienza di insegnamento ed economo della Scuola Apostolica dei Missionari, si scontrò energicamente con i miliziani che, il 21 luglio 1936, ordinarono l’espulsione degli allievi, ottenendo per loro gli alimenti necessari.
Con sei compagni fuggì dal campo di prigionia improvvisato dov’erano stati costretti, ma dopo quasi un mese di peregrinazioni caddero nelle mani dei miliziani.
Quando fu sul punto di essere fucilato, alzò un’ultima volta la voce contro i persecutori, ma una scarica di mitragliatrice interruppe la sua professione di fede. Aveva 28 anni; era religioso da dieci e sacerdote da poco più di un anno. È stato beatificato a Girona il 6 maggio 2017, insieme ai suoi compagni di martirio.
Antonio Arribas Hortigüela, nato a Cardenadijo presso Burgos il 29 aprile 1908, frequentò le scuole medie nel Seminario Minore dei Missionari del Sacro Cuore di Gesù a Canet de Mar. Successivamente entrò in noviziato, professando i primi voti il 30 settembre 1928. Proseguì gli studi teologici a Barcellona e Logroño e venne ordinato sacerdote il 6 aprile 1935.
La sua unica destinazione fu la Piccola Opera, com’era stata definita dalle origini la comunità dei Missionari, che comprendeva la Scuola Apostolica, il Seminario minore e la sede del noviziato per la Spagna.
Padre Antonio era l’economo, ma faceva anche il professore di Latino. I suoi allievi gli diedero il soprannome di “sollevatore di pesi”, per la sua notevole forza fisica, e lo ammiravano per il suo atteggiamento paterno nei loro riguardi.
Il 21 luglio 1936, nel pomeriggio, arrivò alla porta della Piccola Opera un drappello di miliziani comunisti, i quali iniziarono a sparare per aria allo scopo di segnalare la propria presenza. Un rappresentante del Comitato rivoluzionario locale si presentò con l’ordine di far sgombrare il convento.
Padre Antonio protestò contro i soldati, perché ai ragazzi della scuola venissero concessi almeno gli alimenti necessari al loro sostentamento. In quanto economo, aveva già provvisto ciascun confratello di una piccola somma di denaro, per far fronte alle prime necessità.
In seguito, divise con i confratelli la prigionia forzata nel parco che circondava il santuario della Madonna della Misericordia, che era vicino alla Scuola Apostolica, fino al tentativo di fuga nella
notte del 3 agosto 1936.
Insieme a sei compagni, vagò per le montagne e per i boschi, domandando rifugio e indicazioni per riuscire a raggiungere la frontiera con la Francia.
Il 28 settembre, dopo quasi un mese di peregrinazioni, capitarono nella casa di uno dei capi dei Comitati. Furono quindi indirizzati in un luogo chiamato La Ginella, ma là erano attesi da un gruppo di miliziani, che li catturarono all’istante.
Furono quindi condotti alla sede centrale del Comitato, a Sant Joan de les Fonts. Lungo il tragitto, le guardie domandarono loro se portassero armi e se fossero frati o sacerdoti. Replicarono che di armi non ne avevano, ma erano dei religiosi; tanto bastò per segnare la loro fine terrena.
La sera del 29 settembre 1936, i sette Missionari furono caricati su di un autobus requisito dai miliziani, legati a due a due, mentre l’ultimo aveva le mani legate dietro le spalle. Il veicolo, preceduto da un’automobile, si fermò in un punto della strada verso Seriñá, sul ponte del fiume Ser, dove sorgeva una piccola casa in rovina.
Furono spinti fuori dall’autobus i primi quattro condannati, mentre uno dei Missionari supplicava: «Non uccideteci, che male abbiamo fatto?». Vennero quindi allineati contro il muro in rovina e fu loro ordinato di voltare le spalle.
A quel punto, si udì, forte e chiara, la voce di padre Antonio: «I codardi muoiono di spalle, e noi non siamo né codardi né ladri. Voi ci uccidete perché siamo religiosi. Viva...!». Plausibilmente  stava per gridare: «Viva Cristo Re!», ma la sua professione di fede fu troncata da una scarica di mitragliatrice. Uccisi i primi quattro, furono fatti scendere dal mezzo gli altri tre, che ebbero la stessa sorte.
I corpi dei Missionari, verso sera, furono raccolti e portati all’obitorio. L’indomani, 30 settembre, furono seppelliti in due fosse vicine, quattro in una e tre nell’altra. Rimasero in quel punto fino al 30 marzo 1940, quando la sepoltura venne debitamente identificata e le ossa vennero traslate in una nicchia del cimitero di Canet de Mar.
Padre Antonio Arribas Hortigüela, insieme ai suoi sei compagni Abundio Martín Rodríguez, José Vergara Echevarría, José Oriol Isern Massó (sacerdoti), Gumersindo Gómez Rodrigo, Jesús Moreno Ruiz e José del Amo y del Amo (fratelli coadiutori), è stato beatificato il 6 maggio 2017 a Girona.

(Autore: Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Antonio Arribas Hortigüela, pregate per noi.

*Beato Antonio Martínez López - Sacerdote e Martire (29 Settembre)

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati 115 Martiri spagnoli di Almería" Beatificati nel 2017
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)

Almería, Spagna, 8 aprile 1891 – Serón, Spagna, 29 settembre 1936
Antonio Martínez López nacque ad Almería, nell’omonima provincia e diocesi, l’8 aprile 1891. Il 28 marzo 1914 fu ordinato sacerdote.
Era parroco della parrocchia di Serón quando morì in odio alla fede cattolica il 29 settembre 1936, a Serón, in provincia di Almería.
Inserito in un gruppo di 115 martiri della diocesi di Almeria, è stato beatificato ad Aguadulce, presso Almería, il 25 marzo 2017.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Antonio Martínez López, pregate per noi.

*Beato Carlo di Blois - Duca di Bretagna (29 Settembre)

Martirologio Romano: Presso Vannes sulla costa della Bretagna, Beato Carlo da Blois, uomo pio, mite e umile: duca di Bretagna, avrebbe desiderato entrare tra i Frati Minori, ma, costretto a difendere la propria sovranità contro un nemico, forte nelle difficoltà, subì una lunga carcerazione e fu ucciso in combattimento presso Auray.
Carlo di Blois (o di Châtillon) duca di Bretagna, Beato.  
Figlio (Blois 1318 o 1319 - Auray 1364) di Guido di Châtillon conte di Blois e di Margherita di Valois, sorella di Filippo VI di Francia, sposò (1337) Giovanna di Penthièvre, figlia di Guido, secondogenito di Arturo II di Bretagna.
Alla morte, senza eredi diretti, di Giovanni III, figlio primogenito di Arturo, si aprì la lotta per la successione tra Carlo e Giovanni di Montfort, figlio di secondo letto di Arturo.

La questione fu risolta dalla Corte dei pari di Francia con un verdetto favorevole a Carlo (1341), che non fu però accettato da Giovanni.
Ne seguì tra i due pretendenti (a Giovanni, morto nel 1345, si sostituì poi il figlio omonimo), appoggiati rispettivamente da Filippo VI di Francia ed Edoardo III d'Inghilterra, una lunga guerra, che si innestò in quella dei Cent'anni e che terminò, dopo varie vicende tra cui una lunga prigionia di Carlo (1347-56; dal 1348 nella Torre di Londra) e alcuni tentativi di pace, nel 1364 con la sconfitta e la morte di Carlo in battaglia e l'assegnazione del ducato a Giovanni di Montfort.
La fama di santità di cui Carlo si era circondato in vita, si consolidò dopo la sua morte, sì che Urbano V dette inizio (1369) al processo di canonizzazione, continuato poi sotto Gregorio XI ma forse mai giunto a conclusione.
Comunque Pio X (1904) ne confermò il culto come Beato.
Festa, 20 giugno a Blois; 30 ottobre nelle diocesi di Bretagna.

(Fonte: www.Treccani.it)
Giaculatoria - Beato Carlo di Blois, pregate per noi.

*San Ciriaco (Quiriaco) - Eremita in Palestina (29 Settembre)

m. 557
Visse circa 90 anni in grotte nei dintorni di Betlemme e fu un grande difensore dell'ortodossia contro gli errori origenisti.
Martirologio Romano: In Palestina, San Ciriaco, anacoreta, che per circa novant’anni condusse una vita di grande austerità in spelonche e fu modello degli anacoreti e difensore della verità della fede contro gli errori degli origenisti.
Nacque a Corinto il 9 gennaio 449. Desideroso di perfezione, si recò in Palestina e ricevette l'abito di Sant'Eutimio,uno dei padri del monachesimo palestinese.
Questi però, giudicandolo troppo giovane d'età, non volle trattenerlo.
Ciriaco allora decise di entrare tra i discepoli di san Gerasimo che vivevano presso il Giordano. Qui trascorse nove anni di duro noviziato. Alla morte dei suoi due maestri, tornò alla laura di Eutimio rimanendovi altri nove anni.
Nel corso della sua lunga esistenza cambiò sede diverse altre volte.
Al suo tempo la vita dei monasteri era spesso turbata da divisioni e contrasti sulle dottrine teologiche non ancora chiarite dai Concili.
Ciriaco fu chiamato a fronteggiare con la sua autorità i monaci che sostenevano le teorie origeniste.
Il suo biografo, il poc'anzi citato Cirillo di Scitopoli, recatosi nel monastero di Susakim per fargli visita, lo trovò in compagnia di un grosso leone che viveva con lui come un cane da guardia.
Morì nella grotta di San Caritone all'età di 108 anni, al principio del 557.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Ciriaco, pregate per noi.

*Beato Dario Hernandez Morato - Sacerdote Gesuita, Martire (29 Settembre)
Schede dei gruppi a cui appartiene:

“Beati Martiri Spagnoli Gesuiti”
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia Beatificati nel 2001”
“Martiri della Guerra di Spagna”
Buñol, Spagna, 25 ottobre 1880 - Picadero de Paterna, Spagna, 29 settembre 1936
Padre Dario Hernández Morato nacque a Buñol (Valencia) il 25 ottobre 1880e fu ammesso nella Compagnia di Gesù nel 1896.
Rettore della casa professa di Valencia, fu assassinato in località “Picadero de Paterna”, presso Valencia, il 29 settembre del 1936 a 55 anni di età.

Martirologio Romano: Nel villaggio di Picadero de Paterna nel territorio di Valencia sempre in Spagna, Beati Dario Hernández Morató, sacerdote della Compagnia di Gesù e martire, che nella medesima persecuzione rese l’anima a Dio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Dario Hernandez Morato , pregate per noi.

*Beato Enrico Scarampi - Vescovo (29 Settembre)

† Belluno, 29 settembre 1440
Enrico nacque dalla famiglia Scarampi, signori di Cortemilia.Ordinato sacerdote, rivelò doti di grande scienza e virtù, tanto che ebbe delicati incarichi da papi e principi.Nel 1396 divenne vescovo di Acqui, poi nel 1406 passò alla diocesi di Feltre e Belluno.Visse all’epoca del Grande scisma d’Occidente. Al Concilio di Costanza (1414-1418) il Beato Enrico votò per il papa Martino V e sostenne la supremazia pontificia sul potere conciliare.
Papa Martino V, che operò una profonda riforma dello Stato della Chiesa, tanto da essere riconosciuto come vero nuovo fondatore del regno papale e restauratore di Roma, lo fece tesoriere della Camera Apostolica.Fu direttore spirituale della beata Margherita di Savoia. Morì nel 1440.
Degli Scarampi, originari di Asti, si hanno notizie fin dal XII secolo.
Essi divengono ricchi e potenti grazie al commercio e all’attività bancaria. Dopo l’interdizione dalla Francia (a motivo della pratica usuraria), nel 1337 un ramo della famiglia, acquista dai Marchesi di Saluzzo i feudi già di proprietà dei Signori Del Carretto, estesi per tutta la Valle Uzzone, le alte Langhe fino a Cairo e parte di Carcare, nonché quelli compresi nel territorio di Cortemilia, Roccaverano e Canelli. Insieme, gli Scarampi acquisiscono il titolo di marchesi.
In uno di quei castelli, il dubbio è circoscritto tra Canelli e Roccaverano, tra il 1354 ed il 1355, da Uddone, figlio di Antonio, nasce il nostro Enrico. Il padre lo avvia agli studi probabilmente compiuti a Pavia.
Il giovane si distingue per l'intelligenza, la nobiltà di carattere e la prudenza. Giovanissimo entra così come "familiare" alla corte del marchese Teodoro del Monferrato, che lo impiega in varie commissioni. Questa pur breve esperienza gli è certo d'aiuto quando, nel 1383, a meno di 30 anni viene scelto come vescovo di Acqui.
Viene consacrato giovanissimo (precedenti si rintracciano in Enrico Corrado Malaspina, vescovo di Acqui a 27 anni e, agli inizi del millennio, con Guido dell’Aquesana, indicato vescovo a 29 anni).
La chiesa sta vivendo una fase assai critica: uno scisma ha spaccato la comunità cristiana, moltiplicato papi e centri di potere, mentre stanno emergendo stati nazionali, come la Francia, desiderosi di porre sotto controllo politico l'autorità ecclesiale.
I riflessi si sentono anche nella nostra diocesi e per il giovane vescovo non è certo facile districarsi in tale intreccio di vicende politiche ed ecclesiali.
Ad Enrico, però, pare importi poco la nobiltà del casato e meno ancora risulta disposto a lasciarsi influenzare da amicizie di potenti, pure essendo profondamente inserito nel clima e nelle dinamiche del suo tempo. Su questo pastore che svolge il ministero episcopale per ben 57 anni (uno tra i più lunghi che la storia ricordi) il giudizio degli storici è unanime: egli si distingue per le sue virtù di bontà, dolcezza, prudenza e generosità, che risaltano proprio perché egli è chiamato a operare in un frangente assai complesso e duro, impegnato in uffici e missioni delicate, non solo in diocesi di Acqui e poi in quella di Belluno-Feltre, ma anche a diretto servizio del pontefice e pure dell’imperatore.
In Acqui la sua attività di Vescovo si svolge nell’arco di circa venti anni: i documenti disponibili si riferiscono prevalentemente ad atti amministrativi, anche perchè all’epoca non era costume frequente registrare le attività pastorali. Uno dei suoi primi atti, forse per assicurarsi protezione adeguata, in tempi assai turbolenti, è la concessione di privilegi sui castelli di Castelletto Val d'Erro e di Roncogennaro (presso Bistagno), al marchese del Monferrato, che aveva ormai abbandonato l'antipapa. Costretto, come gli ultimi suoi predecessori, a mantenere la residenza nel castello di Bistagno, feudo della Mensa vescovile, male sopporta la forzata residenza fuori città: non a caso, già vescovo a Belluno, lascerà ben 360 scudi d'oro del suo patrimonio per la costruzione del Vescovado in Acqui.
Di ben più grande valore furono le sue opere di apostolato, dal campo caritativo a quello ministeriale. Nel 1398 rispose con generosità alle domande di sovvenzione a favore dell'Ospedale di Bistagno e a quello di S.Antonio de Balneis in Acqui. Nel giro di pochi anni si trova però ad occuparsi di molti e diversi problemi su una scala assai diversa, in cui esprime ora l’arte diplomatica del marchese, ora l’abilità amministrativa del figlio di banchieri, ora la profonda cultura del vescovo, ora la bontà generosa del pastore.
Papa Bonifacio IX, infatti, lo elegge suo ‘consigliere’, nel 1401 lo nomina ‘legato papale’ per la secolarizzazione dell’Abbazia di Ferrania e conseguente investitura a favore del cugino Antonio Scarampi, marchese di Cairo .
Nel 1403 il vescovo da prova di buone doti politiche nella missione di favorire la convenzione di pace tra il marchese del Monferrato ed il Duca di Savoia, principe d’Acaia. Per questo propizia il matrimonio tra il marchese Teodoro del Monferrato e la principessa Margherita di Savoia, allora tredicenne (e intenzionata a farsi monaca).
Il papa lo designa suo tesoriere, compito che lo Scarampi svolge con grande impegno, ripagando la fiducia con la difesa coraggiosa dei diritti del Papa legittimo in quegli anni di grande scisma. La considerazione del Pontefice, sostenuta anche dai desideri del duca di Milano, premia il vescovo Enrico con la nomina - nel 1402, ribadita poi nel 1404 - alle diocesi unite di Feltre e Belluno; il che causa dolore agli Acquesi che perdono una valida guida, ma costituisce anche una promozione alquanto impegnativa. Enrico, infatti, deve prender possesso dei due vescovadi, tra non lievi difficoltà di ordine politico dovute alle contese tra Milano e Venezia: non a caso l’ingresso ufficiale si compie solo nel 1406.
L’anno successivo Papa Gregorio XII lo nomina "collettore della decima dovuta alla S. Sede" nelle province venete di Grado e Aquileia; e poco dopo gli affida la nunziatura presso la Repubblica di Venezia . Nel 1408 è a Milano per mediare tra le fazioni guelfe e ghibelline
Nel 1409 Enrico partecipa al Concilio di Pisa nel 1409, indetto per porre fine allo scisma e dove invece si verifica una seconda scissione (che prende il nome di "Obbedienza di Pisa" ei affianca all’obbedienza avignonese e a quella romana), portando la chiesa alla situazione di massima tensione: un papa eletto a Roma e ben due antipapi.
La svolta politica, che comporta la sottomissione all’impero delle terre venete, comprendenti anche Feltre e Belluno, porta lo Scarampi a stringere rapporti con l’imperatore Sigismondo, il quale -sperimentatene le particolari doti- lo onora del titolo di suo consigliere e poi di segretario imperiale. Dell’ascendente che gode presso l’imperatore, Enrico si avvale a favore dei suoi diocesani oppressi da dure leggi del nuovo ‘padrone’.
Nel 1414 partecipa alla "dieta" imperiale e poi gioca un ruolo di rilievo nel Concilio di Costanza (1414-1417), durante il quale è incaricato di trattare con l'antipapa Giovanni XXIII, dell'Obbedienza di Pisa, per persuaderlo a rinunciare volontariamente al titolo ritornando all’obbedienza romana.
Per l’abilità dimostrata nella sua riuscita missione è designato tra i 30 "grande elettori" partecipanti al Conclave per il nuovo Papa, prescelti tra i vescovi di ciascuna "nazione" per affiancare i 17 cardinali; Enrico è "presidente della nazione italiana" (un gruppo di 5 vescovi, di cui fa parte anche l’arcivescovo di Milano). Si tratta di un avvenimento storico di grande rilievo, in quanto l’elezione di Papa Martino V, avvenuta nel 1417, pone fine al grande scisma d’occidente e la Chiesa cattolica torna ad avere un governo unitario mentre vengono definite le tesi conciliariste . In quegli stessi anni, Enrico partecipa anche ad un altro importante e tragico passaggio della storia ecclesiale: la repressione dell’eresia hussita in Boemia.
Il nuovo papa lo nomina "Tesoriere della Camera Apostolica", poi nel 1418 "rettore generale per le Province Campane", quindi – nel 1420- "rettore per la provincia della ‘Tuscia’".
I molteplici incarichi del Papa e dell’imperatore lo tengono impegnato per molto tempo lontano dalle sedi vescovili (almeno fino al 1430, con la morte di Martino V), ma ciò non impedisce ai fedeli delle due diocesi – in contesa tra loro - di apprezzarne le capacità e le virtù, specie negli ultimi dieci anni del suo episcopato in cui si dedica principalmente al ministero pastorale diretto.
Infatti, fin dal momento della morte - avvenuta in Belluno il 29 settembre 1440 - è considerato santo dal popolo e oggetto di venerazione spontanea, tanto che storici e biografi affermano: "in quella Regione (Feltre e Belluno) era da tutti ritenuto beato…; il nuovo beato era uomo peritissimo nelle discipline ecclesiastiche, di straordinaria cultura e insigne per santità di vita…; prelato insigne per cultura, per autorità, per capacità politica e amministrativa e per le alte cariche affidategli dalla fiducia di Sommi Pontefici e Imperatori…; uno tra i più illustri Vescovi di quelle contrade, per il suo ingegno, l’alta cultura e generosità d’animo…; la commemorazione liturgica del beato si teneva il giorno del suo decesso" .
Il culto si sviluppa nei secoli successivi. Dopo che nel 1786 si svolge la ricognizione legale del corpo, trovato quasi intatto, aumentano i pellegrinaggi alla sua tomba, presso la quale vengono attestati diversi miracoli. A metà del XIX secolo, però, subentra un giudizio severo del vescovo Bolognesi che, richiamandosi alla Costituzione del Papa Urbano VIII sul culto dei Santi, non accettò più quel ‘Beato’ voluto dal popolo; e così il "Beato" viene presto dimenticato.

(Autore: Vittorio Rapetti - Fonte: www.diocesiacqui.piemonte.it)

Giaculatoria - Beato Enrico Scarampi, pregate per noi.

*Sant'Eutichio - Vescovo e Martire (29 Settembre)

Martirologio Romano: A Marmara Ereğlisi in Tracia, nell’odierna Turchia, Sant’Eutichio, vescovo e martire.
Santi Eutichio, Plauto ed Eraclea, martiri
Sono commemorati nel Martirologio Romano il 29 settembre, con l’indicazione topografica «In Thracia». L’elogio proviene da Usuardo, che comprese male il testo del Geronimiano, in cui si legge, alla stessa data, «In Tracia civitate Eraclea, Eutici et Plauti»: da ciò si deduce chiaramente che Eraclea non è il nome di una martire, ma quello della città.
Questo latercolo del Geronimiano è confermato, per quanto riguarda l’indicazione topografica, dal Martirologio Siriaco; la città di Perinto, infatti, fu più tardi chiamata Eraclea.
In questo Martirologio, dopo Eutichio, seguono i nomi di Genesio e Sabino, che sono stati, però, dimenticati dal Geronimiano, e quindi dal Romano: al loro posto si trova Plauto che, secondo Il Delehaye, è una corruzione di Placido, commemorato il 5 ottobre, ma che non appartiene ad Eraclea.
In conclusione, l’unico martire autentico di quelli commemorati nel Martirologio Romano il 29 settembre è Eutichio.Chi poi egli fosse, che cosa abbia fatto e quando sia vissuto, è impossibile precisare per mancanza di notizie; forse è da identificare con l’omonimo venerato il 28 dicembre.

(Autore: Agostino Amore - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Eutichio, pregate per noi.

*Beato Francisco de Paula Castello y Aleu - Martire (29 Settembre)
Schede dei gruppi a cui appartiene:

“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia Beatificati nel 2001”
“Martiri della Guerra di Spagna”
Alicante (Spagna), 19 aprile 1914 - Lèrida (Spagna), 29 settembre 1936
Francisco de Paula Castelló y Aleu subì il martirio in occasione della persecuzione anti-cattolica infuriata con la Guerra Civile Spagnola.
Giovane laico, fidanzato, allievo dei maristi e dei gesuiti, militò nell’Azione Cattolica Spagnola. Giovanni Paolo II lo ha beatificato l’11 marzo 2001 con altri 232 compagni, uccisi in luoghi e date diversi.

Martirologio Romano: A Lérida ancora in Spagna, Beato Francesco da Paola Castelló y Aleu, martire, che, condannato in quella stessa persecuzione contro la fede, non esitò ad affrontare con animo sereno e somma fermezza la morte per Cristo.
Ben 233 martiri, vittime della feroce persecuzione religiosa che contraddistinse la Guerra Civile Spagnola (1936-1939) furono beatificati l’11 marzo 2001 dal sommo pontefice Giovanni Paolo II.
In questa sanguinosa strage che attraversò la Spagna, il numero delle vittime superò il milione, colpendo persone di ogni età e classe sociale.
É stato ormai appurato da parte degli storici che, all’interno di questo terribile massacro, gli anarchici ed i social-comunisti perpetrarono una vera e propria persecuzione volta ad annientare la chiesa cattolica in Spagna.
I fedeli laici uccisi, solo perché cristiani, furono decine di migliaia e tra di loro spicca un nutrito gruppo di appartenenti all’Azione Cattolica.

Tra di essi spicca il giovane Francisco de Paula Castelló y Aleu, nato ad Alicante il 19 aprile 1914.
Qui la sua famiglia, catalana di origine, si trovava a motivo del lavoro del padre.
Morto quest’ultimo, la madre con i tre bambini, tra cui Francisco appena neonato, fece ritorno a Lleida, in Catalogna.
Francisco studiò alla scuola dei Fratelli Maristi e portò a termine i suoi studi superiori tecnici presso l’istituto chimico tenuto a Barcellona dai padri gesuiti.
Studente universitario a Oviedo (Sturias), partecipò alle attività politiche dei gesuiti ed in particolar modo alla “Federazione dei giovani cristiani della Catalogna”, ramo dell’Azione Cattolica Spagnola.
Conclusi gli studi in Scienze Chimiche, lavorò nel complesso Chimico “Cross” di Lleida, dove si fidanzò con Maria Pelegrí.
Chiamato al servizio militare come soldato di leva, si trovò nel mezzo dei tragici avvenimenti della guerra civile appena scoppiata.
Incarcerato la notte tra il 21 ed il 22 luglio 1936 dai miliziani repubblicani, il 29 settembre successivo fu sottoposto al giudizio del Tribunale popolare, ove ribadì a voce chiara e ferma la sua fede: “Se è un delitto essere cattolico sono certamente un delinquente e se avessi mille vite da dare a Dio Gli darei mille vite così come non manca chi mi difenda”.
Nel leggere le sue lettere dal carcere, il pontefice Pio XI sostenne che Francisco avrebbe potuto sicuramente costituire un valido modello per i giovani di Azione Cattolica di tutto il mondo.
Purtroppo la sua tomba non può che essere identificata con la "Fosa Común de los Martires" a Lèrida.
Giovanni Paolo II lo ha dunque beatificato l’11 marzo 2001 con altre 232 della medesima persecuzione.
Il nuovo Martyrologium Romanum lo ricorda così nel giorno del suo martirio: “Ad Illerda in Spagna, ricordo del Beato Francisco de Paula Castelló y Aleu, martire, che, condannato alla pena capitale durante la medesima persecuzione, con animo giusto e somma fermezza non dubitò di offrire la sua morte per Cristo”.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Francisco de Paula Castello y Aleu, pregate per noi.

*San Fraterno di Auxerre - Vescovo (29 Settembre)

Martirologio Romano: A Auxerre nella Gallia lugdunense, ora in Francia, San Fraterno, vescovo.
Il Martirologio Geronimiano, al quale i legami autissiodoresi e la sua antichità conferiscono qui un valore speciale, menziona al 29 settembre, ad Auxerre, l’inumazione (depositio) del vescovo Fraterno (lat. Fraternus; fr. Fraterne). Altri martirologi e la lista episcopale d’Auxerre, di grande valore, ci attestano pure la sua esistenza.
Fu il secondo successore di san Germano (morto il 31 luglio 448); il suo episcopato si collocherebbe quindi verso il 465-470, in ogni modo prima del 475, data in cui Censurio lo ha già sostituito ad Auxerre, come risulta da una lettera di san Sidonio Apollinare.
L'Historia episcoporum Autissiodorensium ha raccolto delle tradizioni incontrollabili, secondo cui, dopo la morte di Elladio (o Allodio), successore di San Germano, per dieci anni, le incursioni dei barbari avrebbero impedito ad Auxerre d’avere un vescovo.
Eletto dopo questo periodo, Fraterno sarebbe stato massacrato dai barbari, il giorno stesso della sua consacrazione, donde il titolo di martire, che gli dà il Martirologio Romano.
Inumati dapprima accanto ai suoi due predecessori, nella basilica di San Maurizio che divenne san Germano, i resti di Fraterno furono trasferiti nella nuova cripta, verso l'865, riconosciuti dal vescovo Domenico Séguier nel 1634.
L’Ordo di Sens fa memoria di San Fraterno e dei suoi Compagni martiri il 6 ottobre.

(Autore: Paul Viard - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Fraterno di Auxerre, pregate per noi.

*San Gabriele - Arcangelo (29 Settembre)

Gabriele (forza di Dio) è uno degli spiriti che stanno davanti a Dio, rivela a Daniele i segreti del piano di Dio, annunzia a Zaccaria la nascita di Giovanni e a Maria quella di Dio.
Il nuovo calendario ha riunito in una sola celebrazione i tre arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, la cui festa cadeva rispettivamente il 29 settembre, il 24 marzo e il 24 ottobre.
Dell'esistenza di questi angeli parla esplicitamente la Sacra Scrittura, che dà loro un nome e ne determina la funzione.
San Michele, l'antico patrono della Sinagoga, è ora patrono della Chiesa universale; San Gabriele è l'angelo dell'Incarnazione e forse dell'agonia nel giardino degli ulivi; San Raffaele è la guida dei viandanti.
San Gabriele, «colui che sta al cospetto di Dio» (si presenta così quando annuncia a Maria la sua scelta come madre del Redentore).
È lui che spiega al profeta Daniele come avverrà la piena restaurazione, dal ritorno dall'esilio all'avvento del Messia.
A lui è affidato l'incarico di annunciare la nascita del precursore, Giovanni, figlio di Zaccaria e di
Elisabetta.
Egli gode di una particolare venerazione anche presso i maomettani. (Avvenire)

Patronato: Diplomazia e comunicazione, Telecomunicazioni, Lavoratori delle poste e dei tele
Etimologia: Gabriele (come Gabrio e Gabriella) = uomo di Dio, dall'assiro o forza, fortezza
Martirologio Romano: Festa dei Santi Michele, Gabriele e Raffaele, arcangeli. Nel giorno della dedicazione della basilica intitolata a San Michele anticamente edificata a Roma al sesto miglio della via Salaria, si celebrano insieme i tre arcangeli, di cui la Sacra Scrittura rivela le particolari missioni: giorno e notte essi servono Dio e, contemplando il suo volto, lo glorificano incessantemente.
Gabriele (Forza di Dio) è uno degli spiriti che stanno davanti a Dio (Lc 1, 19), rivela a Daniele i segreti del piano di Dio (Dn 8, 16; 9, 21-22), annunzia a Zaccaria la nascita di Giovanni (Lc 1, 11-20) e a Maria quella di Dio (Lc 1, 26-38).
Il nuovo calendario ha riunito in una sola celebrazione i tre arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, la cui festa cadeva rispettivamente il 29 settembre, il 24 marzo e il 24 ottobre.
Dell'esistenza di questi Angeli parla esplicitamente la Sacra Scrittura, che dà loro un nome e ne determina la funzione.
San Michele, l'antico patrono della Sinagoga, è ora patrono della Chiesa universale; San Gabriele è l'angelo dell'Incarnazione e forse dell'agonia nel giardino degli ulivi; San Raffaele è la guida dei viandanti.
San Gabriele, "colui che sta al cospetto di Dio" (è il suo "biglietto di presentazione " quando si reca ad annunciare a Maria la sua scelta come madre del Redentore), è l'annunciatore per eccellenza delle divine rivelazioni.
É lui che spiega al profeta Daniele come avverrà la piena restaurazione, dal ritorno dall'esilio all'avvento del Messia.
A lui è affidato l'incarico di annunciare la nascita del precursore, Giovanni, figlio di Zaccaria e di Elisabetta.
La missione più alta che mai sia stata affidata ad una creatura è: l'annuncio dell'Incarnazione del Figlio di Dio.
Egli gode per questo di una particolare venerazione anche presso i maomettani.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Gabriele, pregate per noi.

*Beato Gesù Moreno Ruiz - Religioso e Martire (29 Settembre)

Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Missionari del Sacro Cuore di Gesù" Beatificati nel 2017 - 29 settembre
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Osomo, Spagna, 13 gennaio 1915 - Seriñá, Spagna, 29 settembre 1936
Jesús Moreno Ruiz nacque a Osomo presso Palencia il 13 gennaio 1915. Professò i voti tra i Missionari del Sacro Cuore di Gesù, come fratello coadiutore, il 25 gennaio 1934.
Era nel pieno della sua formazione come uomo e come religioso quando, il 21 luglio 1936, fu obbligato a lasciare la casa religiosa di Canet de Mar, dove prestava servizio: divise quindi con i confratelli l’espulsione dalla casa e la prigionia forzata nel parco adiacente, finché, con sei compagni, fuggì. Dopo quasi un mese di peregrinazioni, caddero nelle mani dei miliziani.
Al momento della morte aveva 21 anni. È stato beatificato a Girona il 6 maggio 2017, insieme ai suoi compagni di martirio.
Jesús Moreno Ruiz nacque a Osomo presso Palencia il 13 gennaio 1915. Professò i voti tra i Missionari del Sacro Cuore di Gesù, come fratello coadiutore, il 25 gennaio 1934. Alto, forte, pieno di spontaneità, dovette confrontare la propria esuberanza con le esigenze della vita consacrata; del resto, era nel pieno del suo periodo di formazione. Era anche molto bravo come cuoco e sapeva provocare le risate di chi gli stava intorno.
Il 21 luglio 1936, nel pomeriggio, arrivò alla porta della Scuola Apostolica di Canet de Mar un drappello di miliziani comunisti, i quali iniziarono a sparare per aria allo scopo di segnalare la propria presenza. Un rappresentante del Comitato rivoluzionario locale si presentò con l’ordine di far sgombrare il convento.
Fratel Jesús divise quindi con i confratelli la prigionia forzata nel parco che circondava il santuario della Madonna della Misericordia, che era vicino alla Scuola Apostolica, fino al tentativo di fuga nella notte del 3 agosto 1936.
Insieme a sei compagni, vagò per le montagne e per i boschi, domandando rifugio e indicazioni per riuscire a raggiungere la frontiera con la Francia. Il 28 settembre, dopo quasi un mese di peregrinazioni, capitarono nella casa di uno dei capi dei Comitati. Furono quindi indirizzati in un luogo chiamato La Ginella, ma là erano attesi da un gruppo di miliziani, che li catturarono all’istante.
Furono quindi condotti alla sede centrale del Comitato, a Sant Joan de les Fonts. Lungo il tragitto, le guardie domandarono loro se portassero armi e se fossero frati o sacerdoti. Replicarono che di armi non ne avevano, ma erano dei religiosi; tanto bastò per segnare la loro fine terrena.
La sera del 29 settembre 1936, i sette Missionari furono caricati su di un autobus requisito dai miliziani, legati a due a due, mentre l’ultimo aveva le mani legate dietro le spalle.
Il veicolo, preceduto da un’automobile, si fermò in un punto della strada verso Seriñá, sul ponte del fiume Ser, dove sorgeva una piccola casa in rovina.
Furono spinti fuori dall’autobus i primi quattro condannati, mentre uno dei Missionari supplicava: «Non uccideteci, che male abbiamo fatto?». Vennero quindi allineati contro il muro in rovina e fu loro ordinato di voltare le spalle.
A quel punto, si udì, forte e chiara, la voce di padre Antonio Arribas Hortigüela: «I codardi muoiono di spalle, e noi non siamo né codardi né ladri. Voi ci uccidete perché siamo religiosi. Viva...!». Plausibilmente  stava per gridare: «Viva Cristo Re!», ma la sua professione di fede fu troncata da una scarica di mitragliatrice. Uccisi i primi quattro, furono fatti scendere dal mezzo gli altri tre, che ebbero la stessa sorte.
I corpi dei Missionari, verso sera, furono raccolti e portati all’obitorio. L’indomani, 30 settembre, furono seppelliti in due fosse vicine, quattro in una e tre nell’altra. Rimasero in quel punto fino al 30 marzo 1940, quando la sepoltura venne debitamente identificata e le ossa vennero traslate in una nicchia del cimitero di Canet de Mar. Fratel Jesús Moreno Ruiz, insieme ai suoi sei compagni Antonio Arribas Hortigüela, Abundio Martín Rodríguez, José Vergara Echevarría, José Oriol Isern Massó (sacerdoti), Gumersindo Gómez Rodrigo e José del Amo y del Amo (fratelli coadiutori), è stato beatificato il 6 maggio 2017 a Girona.

(Autore: Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Gesù Moreno Ruiz, pregate per noi.

*Beato Giacomo da Rafelbunol (Santiago Mestre Iborra) - Sacerdote e Martire (29 Settembre)
Schede dei gruppi a cui appartiene:

“Beati Martiri Spagnoli Cappuccini di Valencia”
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia” Beatificati nel 2001
“Martiri della Guerra di Spagna”
1909 - 1936
Martirologio Romano: Nel villaggio di Gilet vicino a Valencia in Spagna, Beato Giacomo Mestre Iborra, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini e martire, che, durante la persecuzione contro la fede, versò il sangue per Cristo.
Nacque a Rafelbuñol (Valencia) il 10 aprile 1909. Fu battezzato il 12 aprile seguente nella parrocchia di Sant'Antonio Abad di Rafelbuñol. Ebbe come genitori D. Onofre Mestre e Donna Mercedes Iborra, sposi dai quali nacquero nove figli. Santiago era il settimo. Tutti morirono insieme vittime della stessa persecuzione religiosa.
Santiago si distinse fin da bambino per la sua vita di pietà. I suoi vicini raccontano di lui che era un ragazzo modello ed esemplare in tutto.
Entrò nell’Ordine cappuccino a dodici anni; vestì l’abito il 6 giugno 1924 a Ollería (Valencia); fece la professione temporanea il 7 giugno 1925 e quella perpetua a Roma il 21 aprile 1930 nelle mani di P. Melchor de Benisa, Ministro generale dell’Ordine. Fu ordinato sacerdote a Roma il 26 marzo 1932.
Conseguito il dottorato in teologia all’Università Gregoriana, rientrò in Spagna e fu nominato vicedirettore del Seminario serafico di Massamagrell.
Nella sua breve vita religiosa si distinse per la sua devozione alla Vergine, per la sua semplicità, obbedienza e umiltà e come uomo di profonda vita interiore. “Era di carattere buono e di temperamento vivace... Dai fedeli era considerato religioso esemplare...
Nonostante le sue doti di scienza e la sua virtù, si mostrava sempre umile e semplice...Si impegnò sempre nei lavori apostolici propri della sua condizione di religioso”, dicono di lui i suoi fratelli in religione.
Allo scoppio del Movimento Nazionale Padre Santiago cercò di mettere in salvo i seminaristi affidati alle sue cure, poi cercò rifugio nel suo paese di Rafelbuñol.
Qui il Comitato locale lo pose a lavorare come manovale nei lavori che allora si facevano nella casa Abadía, prendendo rottami dalla chiesa parrocchiale, e poté condurre una vita normale. Un giorno
ricevé notizia che i suoi fratelli erano stati detenuti dal Comitato e che correvano grave pericolo di vita. Si disse: “Vado al Comitato a vedere se, prendendo me prigioniero, liberano i miei fratelli”.
Quando si presentò al Comitato fu preso insieme ai fratelli e fatto prigioniero il 26 settembre 1936.
In carcere ascoltò la confessione di tutti i prigionieri.
La notte dal 28 al 29 settembre i prigionieri furono condotti al cimitero di Massamagrell; passando davanti alla chiesa della patrona, la Vergine del Miracolo, acclamarono la Vergine e, giunti al cimitero, al grido di “Viva Cristo Re!” furono fucilati.
Ucciso insieme ai suoi fratelli, Padre Santiago fu sepolto in una fossa comune nel cimitero di Massamagrell.
I suoi resti furono esumati e identificati e poi trasferiti al panteon dei caduti di Rafelbuñol.
Oggi riposano nella cappella dei Martiri cappuccini del convento della Maddalena a Massamagrell.

(Fonte: Santa Sede)
Giaculatoria - Beato Giacomo da Rafelbunol, pregate per noi.

*San Giovanni da Dukla - Francescano Polacco (29 Settembre)
Dukla, Polonia, 1414 - Leopoli, 29 settembre 1484

Nacque a Dukla, città fra i monti Carpazi in Polonia, nel 1414. Da giovane Giovanni entrò fra i Frati minori conventuali.
Completati gli studi, fu ordinato sacerdote, divenendo superiore a Krosno e poi a Leopoli, custode di tutti i monasteri di quella provincia, che comprendeva in quel tempo anche quelli cechi.
Portato alla vita contemplativa, chiese e ottenne dai superiori, il permesso di passare tra i padri Bernardini, uno dei tanti rami che partirono dall'Ordine francescano.
Spese la sua vita nella ricerca della perfezione, nella cura delle anime e nel lavoro missionario. Fu un apostolo del confessionale e del pulpito. Sopportò senza mai lamentarsi la cecità che lo aveva colpito.
Morì il 29 settembre 1484 a Leopoli. Molte grazie furono ottenute per sua intercessione.
Nel 1615 iniziò il processo di beatificazione che si concluse nel 1733, con il decreto di conferma da parte della Santa Sede.
Nel 1739 Papa Clemente XII lo dichiarò protettore della Polonia e Lituania.
È stato canonizzato da Papa Giovanni Paolo II a Krosno in Polonia il 10 giugno 1997. (Avvenire)

Patronato: Polonia, Lituania.
Martirologio Romano: A Leopoli nel territorio dell’odierna Ucraina, san Giovanni da Dukla, sacerdote dell’Ordine dei Minori, che condusse vita nascosta e ascetica secondo le consuetudini degli Osservanti, si adoperò con fervido zelo nella cura pastorale delle anime e promosse l’unità di cristiani.
Il 10 giugno 1997 Papa Giovanni Paolo II ha canonizzato a Krosno in Polonia San Giovanni da Dukla, il cui culto era stato confermato come Beato il 21 gennaio 1733.
Giovanni nacque a Dukla, città presso i Monti Carpazi in Polonia, nel 1414.
Da giovane entrò fra i Frati Minori Conventuali, qui completati gli studi, fu ordinato sacerdote, espletò i suoi compiti con zelo e prudenza, tanto che gli furono assegnati posti di responsabilità, come superiore a Krosno e poi a Leopoli; custode di tutti i monasteri di quella provincia, che comprendeva in quel tempo anche i monasteri cechi oltre che quelli polacchi; provincia importante per la vicinanza dei territori ortodossi.
Portato alla vita contemplativa, chiese ed ottenne dai superiori, il permesso di passare tra i padri
Bernardini, uno dei tanti rami che partirono dall’Ordine Francescano, chiamati così, perché le loro chiese erano dedicate a San Bernardo.
Spese la sua vita nella ricerca della perfezione, nella cura delle anime e nel lavoro missionario, fu un apostolo del confessionale e del pulpito.
Sopportò senza mai lamentarsi, i molti malanni che lo affiggevano, specie la cecità che l’aveva colpito; per le sue prediche si faceva aiutare a scriverle da un novizio.
Fu pieno di una serenità francescana che conservò fino alla morte, avvenuta il 29 settembre 1484 a Leopoli.
Molte grazie furono ottenute per sua intercessione, ciò portò a tributargli un culto che andò sempre più crescendo; nel 1615 iniziò il processo di beatificazione che si concluse nel 1733, con il decreto di conferma da parte della Santa Sede.
Nel 1739 Papa Clemente XII lo dichiarò protettore della Polonia e Lituania.
É stato canonizzato da Papa Giovanni Paolo II nel 1997.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giovanni da Dukla, pregate per noi.

*Beato Giovanni di Montmirail (29 Settembre)

Martirologio Romano: Nel monastero cistercense di Longpont in Francia, Beato Giovanni di Montmirail, che da illustrissimo cavaliere si fece umile monaco.
Nacque a Montmirail, in Champagne, nel 1165. Suo padre, Andrea, signore di Montmirail e di Condé-en-Brie, aveva sposato Elviada di Oisy-en-Cambrésis, che gli aveva portato in dote il contado di Ferté-d’Ancoul, il viscontado di Meaux e la castellania di Cambrai. Giovanni sposò, nel 1185, Elvida di Dampierre e servì alla corte di Filippo Augusto, dove si mise in luce per la sua dirittura e la sua lealtà.
Il re, che lo fece suo consigliere, amava chiamarlo «Giovanni probità». In una battaglia contro gli Inglesi, presso Gisors, il re di Francia si trovò circondato dai nemici e dovette la sua salvezza al coraggio del beato, che si precipitò in suo soccorso.
Ma ben presto Giovanni, che era piissimo, volle dire addio al mesitiere delle armi, distaccarsi dal mondo e ritirarsi nella solitudine. Dopo aver vissuto qualche tempo in disparte dedicandosi alla preghiera e alle opere di carità, entrò, all’età di quarant’anni, nell’abbazia cistercense di Longpont, fondata nel 1132 da san Bernardo, non lontano da Villers-Cotterets.
Vi ricevette l’abito nel 1210, abbandonandosi alla penitenza più severa, non pensando che ad umiliarsi nei lavori più penosi e più vili, meritando il soprannome di «Giovanni l’umile».
Morì nel 1217, il 29 settembre, all’età di cinquantadue anni, dopo sette di vita religiosa. Essendo stati ottenuti molti miracoli sulla sua tomba, se ne trasferirono i resti in una cassa di marmo, che fu posta nel chiostro. Nel 1253, in ragione dei numerosi miracoli a lui dovuti, il capitolo generale di Citeaux accordò il permesso di trasferirne il corpo in chiesa e gli si costruì un mausoleo nel santuario, in cornu evangelii.
Verso la metà del secolo XIII, le sue ossa furono collocate in una piccola cassa di cuoio, con cerchi di ferro ed ornata di cinquanta medaglioni smaltati. Essa si trova ancora nella chiesa parrocchiale di Longpont, sistemata nell’antica cantina dell’abbazia.
Nel 1891 la Santa Congregazione dei Riti autorizzò la diocesi di Soissons ad onorare il beato con culto liturgico; autorizzazione che fu estesa alla diocesi di Chalons-sur Marne nel 1908.
I Cistercensi lo hanno iscritto nel loro Menologio alla data del 29 settembre, così come riportato anche nel Martirologio Romano. Solo i Cistercensi della Congregazione italiana di san Bernardo celebrano la sua festa il 28 settembre.

(Autore: Marie-Anselme Dimier - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria -  Beato Giovanni di Montmirail, pregate per noi.

*Beato Giuseppe Casas Ros - Seminarista, Martire (28 Settembre)
Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beati 498 Martiri Spagnoli Beatificati nel 2007”
“Martiri della Guerra di Spagna”

Ordal, Spagna, 19 agosto 1916 - Moja, Spagna, 29 settembre 1936
José Casas Ros, seminarista appena ventenne dell’arcidiocesi di Barcellona, cadde in odio alla fede durante la sanguinosa Guerra Civile Spagnola.
Papa Benedetto XVI ha riconosciuto il suo martirio il 22 giugno 2004 ed è stato beatificato il 28 ottobre 2007 con altre 497 vittime della medesima persecuzione.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giuseppe Casas Ros, pregate per noi.

*Beato Giuseppe del Amo y del Amo - Religioso e Martire (29 Settembre)

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Missionari del Sacro Cuore di Gesù" Beatificati nel 2017 - 29 settembre
"Santi, Beati e Servi di Dio" Martiri nella Guerra di Spagna Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Pumarejo de Tera, Spagna, 12 giugno 1916 - Seriñá, Spagna, 29 settembre 1936
José del Amo y del Amo nacque a Pumarejo de Tera, presso Zamora, in diocesi di Astorga, il 12 giugno 1916. Divenne fratello coadiutore tra i Missionari del Sacro Cuore di Gesù l’8 settembre 1934. Il 21 luglio 1936 fu obbligato a lasciare la casa religiosa di Canet de Mar, dove prestava servizio: divise quindi con i confratelli l’espulsione dalla casa e la prigionia forzata nel parco adiacente, finché, con sei compagni, fuggì. Dopo quasi un mese di peregrinazioni, caddero nelle mani dei miliziani. Al momento della morte aveva 21 anni. È stato beatificato a Girona il 6 maggio 2017, insieme ai suoi compagni di martirio.
José del Amo y del Amo nacque a Pumarejo de Tera, presso Zamora, in diocesi di Astorga, il 12 giugno 1916. Divenne fratello coadiutore tra i Missionari del Sacro Cuore di Gesù l’8 settembre 1934. Laborioso e dotato di sana costituzione, era molto abile nei lavori dei campi. Accompagnava un’intensa religiosità con uno spirito allegro, ma non sempre i suoi sforzi per migliorarsi ottenevano dei successi. I suoi superiori, comunque, lo capivano e avevano fiducia in lui.
Il 21 luglio 1936, nel pomeriggio, arrivò alla porta della Scuola Apostolica di Canet de Mar, dov’era di servizio, un drappello di miliziani comunisti, i quali iniziarono a sparare per aria allo scopo di segnalare la propria presenza. Un rappresentante del Comitato rivoluzionario locale si presentò con l’ordine di far sgombrare il convento.
Fratel José divise quindi con i confratelli la prigionia forzata nel parco che circondava il santuario della Madonna della Misericordia, che era vicino alla Scuola Apostolica, fino al tentativo di fuga nella notte del 3 agosto 1936.
Insieme a sei compagni, vagò per le montagne e per i boschi, domandando rifugio e indicazioni per riuscire a raggiungere la frontiera con la Francia. Il 28 settembre, dopo quasi un mese di peregrinazioni, capitarono nella casa di uno dei capi dei Comitati. Furono quindi indirizzati in un luogo chiamato La Ginella, ma là erano attesi da un gruppo di miliziani, che li catturarono all’istante.
Furono quindi condotti alla sede centrale del Comitato, a Sant Joan de les Fonts. Lungo il tragitto, le guardie domandarono loro se portassero armi e se fossero frati o sacerdoti. Replicarono che di armi non ne avevano, ma erano dei religiosi; tanto bastò per segnare la loro fine terrena.
La sera del 29 settembre 1936, i sette Missionari furono caricati su di un autobus requisito dai miliziani, legati a due a due, mentre l’ultimo aveva le mani legate dietro le spalle.
Il veicolo, preceduto da un’automobile, si fermò in un punto della strada verso Seriñá, sul ponte del fiume Ser, dove sorgeva una piccola casa in rovina.
Furono spinti fuori dall’autobus i primi quattro condannati, mentre uno dei Missionari supplicava: «Non uccideteci, che male abbiamo fatto?». Vennero quindi allineati contro il muro in rovina e fu loro ordinato di voltare le spalle.
A quel punto, si udì, forte e chiara, la voce di padre Antonio Arribas Hortigüela: «I codardi muoiono di spalle, e noi non siamo né codardi né ladri. Voi ci uccidete perché siamo religiosi. Viva...!». Plausibilmente  stava per gridare: «Viva Cristo Re!», ma la sua professione di fede fu troncata da una scarica di mitragliatrice. Uccisi i primi quattro, furono fatti scendere dal mezzo gli altri tre, che ebbero la stessa sorte.
I corpi dei Missionari, verso sera, furono raccolti e portati all’obitorio. L’indomani, 30 settembre, furono seppelliti in due fosse vicine, quattro in una e tre nell’altra. Rimasero in quel punto fino al 30 marzo 1940, quando la sepoltura venne debitamente identificata e le ossa vennero traslate in una nicchia del cimitero di Canet de Mar.
Fratel José del Amo y del Amo, insieme ai suoi sei compagni Antonio Arribas Hortigüela, Abundio Martín Rodríguez, José Vergara Echevarría, José Oriol Isern Massó (sacerdoti), Gumersindo Gómez Rodrigo e Jesús Moreno Ruiz (fratelli coadiutori), è stato beatificato il 6 maggio 2017 a Girona.

(Autore: Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giuseppe del Amo y del Amo, pregate per noi.

*Beato Giuseppe Oriol Isern Massó - Sacerdote e Martire (29 Settembre)

Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Missionari del Sacro Cuore di Gesù" Beatificati nel 2017 - 29 settembre
"Santi, Beati e Servi di Dio" Martiri nella Guerra di Spagna Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Villanueva y Geltrú, Spagna, 16 giugno 1909 - Seriñá, Spagna, 29 settembre 1936
José Oriol Isern Massó nacque a Vilanova i La Geltrú, vicino Barcellona, il 16 giugno 1909. Professò i voti religiosi tra i Missionari del Sacro Cuore di Gesù il 4 gennaio 1927; fu ordinato sacerdote il 1° aprile 1933. Assegnato alla Scuola Apostolica di Canet de Mar come professore di Disegno, si distinse per la bontà verso gli allievi e per la passione verso le missioni.
Divise con i confratelli l’espulsione dalla casa e la prigionia forzata nel parco adiacente alla Scuola Apostolica. Con sei compagni fuggì dal campo di prigionia improvvisato dov’erano stati costretti, ma dopo quasi un mese di peregrinazioni caddero nelle mani dei miliziani. Al momento della morte aveva 28 anni; era religioso da nove e sacerdote da due e mezzo. È stato beatificato a Girona il 6 maggio 2017, insieme ai suoi compagni di martirio.
José (in catalano Josep) Oriol Isern Massó nacque a Villanueva y Geltrú (Vilanova i La Geltrú), vicino Barcellona, il 16 giugno 1909. Professò i voti religiosi tra i Missionari del Sacro Cuore di Gesù il 4 gennaio 1927; fu ordinato sacerdote il 1° aprile 1933. Compì il noviziato a Lovanio, in Belgio, e completò gli studi teologici a Logroño.
Ricevette l’incarico di professore di Disegno nella Scuola Apostolica di Canet de Mar. Si distinse per la bontà verso i ragazzi della scuola e la passione per le missioni. Timido di carattere, riusciva però a essere di buona compagnia.
Il 21 luglio 1936, nel pomeriggio, arrivò alla porta della scuola un drappello di miliziani comunisti, i quali iniziarono a sparare per aria allo scopo di segnalare la propria presenza. Un rappresentante del Comitato rivoluzionario locale si presentò con l’ordine di far sgombrare il convento.
Padre José divise con i confratelli la prigionia forzata nel parco che circondava il santuario della Madonna della Misericordia, che era vicino alla Scuola Apostolica, fino al tentativo di fuga nella notte del 3 agosto 1936.
Insieme a sei compagni, vagò per le montagne e per i boschi, domandando rifugio e indicazioni per riuscire a raggiungere la frontiera con la Francia. Il 28 settembre, dopo quasi un mese di peregrinazioni, capitarono nella casa di uno dei capi dei Comitati. Furono quindi indirizzati in un luogo chiamato La Ginella, ma là erano attesi da un gruppo di miliziani, che li catturarono all’istante.
Furono quindi condotti alla sede centrale del Comitato, a Sant Joan de les Fonts. Lungo il tragitto, le guardie domandarono loro se portassero armi e se fossero frati o sacerdoti. Replicarono che di armi non ne avevano, ma erano dei religiosi; tanto bastò per segnare la loro fine terrena.
La sera del 29 settembre 1936, i sette Missionari furono caricati su di un autobus requisito dai miliziani, legati a due a due, mentre l’ultimo aveva le mani legate dietro le spalle.
Il veicolo, preceduto da un’automobile, si fermò in un punto della strada verso Seriñá, sul ponte del fiume Ser, dove sorgeva una piccola casa in rovina.
Furono spinti fuori dall’autobus i primi quattro condannati, mentre uno dei Missionari supplicava: «Non uccideteci, che male abbiamo fatto?». Vennero quindi allineati contro il muro in rovina e fu loro ordinato di voltare le spalle.
A quel punto, si udì, forte e chiara, la voce di padre Antonio Arribas Hortigüela: «I codardi muoiono di spalle, e noi non siamo né codardi né ladri. Voi ci uccidete perché siamo religiosi. Viva...!». Plausibilmente  stava per gridare: «Viva Cristo Re!», ma la sua professione di fede fu troncata da una scarica di mitragliatrice. Uccisi i primi quattro, furono fatti scendere dal mezzo gli altri tre, che ebbero la stessa sorte.
I corpi dei Missionari, verso sera, furono raccolti e portati all’obitorio. L’indomani, 30 settembre, furono seppelliti in due fosse vicine, quattro in una e tre nell’altra. Rimasero in quel punto fino al 30 marzo 1940, quando la sepoltura venne debitamente identificata e le ossa vennero traslate in una nicchia del cimitero di Canet de Mar.
Padre José Oriol Isern Massó, insieme ai suoi sei compagni Antonio Arribas Hortigüela, Abundio Martín Rodríguez, José Vergara Echevarría (sacerdoti), Gumersindo Gómez Rodrigo, Jesús Moreno Ruiz e José del Amo y del Amo (fratelli coadiutori), è stato beatificato il 6 maggio 2017 a Girona.

(Autore: Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giuseppe Oriol Isern Massó, pregate per noi.

*Beato Giuseppe Vergara Echevarría - Sacerdote e Martire (29 Settembre)

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Missionari del Sacro Cuore" di Gesù Beatificati nel 2017 - 29 settembre
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Almándoz, Spagna, 18 giugno 1908 - Seriñá, Spagna, 29 settembre 1936
José Vergara Echevarría nacque ad Almándoz in Navarra, il 18 giugno 1908. Professò i voti tra i Missionari del Sacro Cuore di Gesù il 30 settembre 1927 e fu ordinato sacerdote il 24 febbraio 1934. Assegnato alla Scuola Apostolica di Canet de Mar come professore di Scienze naturali e di Matematica, si distinse per l’abnegazione e lo spirito di servizio al prossimo.
Divise con i confratelli l’espulsione dalla casa e la prigionia forzata nel parco adiacente alla Scuola Apostolica. Con sei compagni fuggì dal campo di prigionia improvvisato dov’erano stati costretti, non prima di un ultimo saluto ai suoi ragazzi; dopo quasi un mese di peregrinazioni, caddero nelle mani dei miliziani. Al momento della morte aveva 28 anni; era religioso da nove e sacerdote da due e mezzo. È stato beatificato a Girona il 6 maggio 2017, insieme ai suoi compagni di martirio.
José Vergara Echevarría nacque ad Almándoz, cittadina nella valle di Ulzama in Navarra, il 18 giugno 1908. Già allievo della Scuola Apostolica dei Missionari del Sacro Cuore di Gesù, professò i voti religiosi in quella congregazione il 30 settembre 1927; fu ordinato sacerdote il 24 febbraio 1934.
Ricevette l’incarico di professore di Scienze naturali e Matematica nella Scuola Apostolica. Si distinse come religioso esemplare, per il suo senso di abnegazione e di disponibilità verso il servizio al prossimo.
Il 21 luglio 1936, nel pomeriggio, arrivò alla porta della scuola un drappello di miliziani comunisti, i quali iniziarono a sparare per aria allo scopo di segnalare la propria presenza. Un rappresentante del Comitato rivoluzionario locale si presentò con l’ordine di far sgombrare il convento.
Padre José divise con i confratelli la prigionia forzata nel parco che circondava il santuario della Madonna della Misericordia, che era vicino alla Scuola Apostolica, fino al tentativo di fuga nella notte del 3 agosto 1936.
Corse il rischio di essere fermato, ma volle passare a salutare i suoi ragazzi prima di scappare.
Insieme a sei compagni, vagò per le montagne e per i boschi, domandando rifugio e indicazioni per riuscire a raggiungere la frontiera con la Francia. Il 28 settembre, dopo quasi un mese di peregrinazioni, capitarono nella casa di uno dei capi dei Comitati. Furono quindi indirizzati in un luogo chiamato La Ginella, ma là erano attesi da un gruppo di miliziani, che li catturarono all’istante.
Furono quindi condotti alla sede centrale del Comitato, a Sant Joan de les Fonts. Lungo il tragitto, le guardie domandarono loro se portassero armi e se fossero frati o sacerdoti.
Replicarono che di armi non ne avevano, ma erano dei religiosi; tanto bastò per segnare la loro fine terrena.
La sera del 29 settembre 1936, i sette Missionari furono caricati su di un autobus requisito dai miliziani, legati a due a due, mentre l’ultimo aveva le mani legate dietro le spalle. Il veicolo, preceduto da un’automobile, si fermò in un punto della strada verso Seriñá, sul ponte del fiume Ser, dove sorgeva una piccola casa in rovina.
Furono spinti fuori dall’autobus i primi quattro condannati, mentre uno dei Missionari supplicava: «Non uccideteci, che male abbiamo fatto?». Vennero quindi allineati contro il muro in rovina e fu loro ordinato di voltare le spalle.
A quel punto, si udì, forte e chiara, la voce di padre Antonio Arribas Hortigüela: «I codardi muoiono di spalle, e noi non siamo né codardi né ladri. Voi ci uccidete perché siamo religiosi. Viva...!». Plausibilmente  stava per gridare: «Viva Cristo Re!», ma la sua professione di fede fu troncata da una scarica di mitragliatrice. Uccisi i primi quattro, furono fatti scendere dal mezzo gli altri tre, che ebbero la stessa sorte.
I corpi dei Missionari, verso sera, furono raccolti e portati all’obitorio. L’indomani, 30 settembre, furono seppelliti in due fosse vicine, quattro in una e tre nell’altra. Rimasero in quel punto fino al 30 marzo 1940, quando la sepoltura venne debitamente identificata e le ossa vennero traslate in una nicchia del cimitero di Canet de Mar.
Padre José Vergara Echevarría, insieme ai suoi sei compagni Antonio Arribas Hortigüela, Abundio Martín Rodríguez, José Oriol Isern Massó (sacerdoti), Gumersindo Gómez Rodrigo, Jesús Moreno Ruiz e José del Amo y del Amo (fratelli coadiutori), è stato beatificato il 6 maggio 2017 a Girona.

(Autore: Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giuseppe Vergara Echevarría, pregate per noi.

*Beato Giuseppe Villanova Tormo - Sacerdote Salesiano, Martire (29 Settembre)

Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beati Martiri Spagnoli Salesiani di Madrid e Siviglia”

“Beati 498 Martiri Spagnoli Beatificati nel 2007”
“Martiri della Guerra di Spagna”
Turís, Spagna, 20 gennaio 1902 - Madrid, Spagna, 29 settembre 1936
José Villanova Tormo nacque a Turís (Valenza) il 20 gennaio 1902 e fu battezzato due giorni dopo.
Emise i voti a Carabanchel Alto (Madrid) il 25 luglio 1920, e nel 1929 fu ordinato sacerdote e destinato all'insegnamento.
Ebbe un apostolato non lungo ma fecondo, sia a Salamanca che a Madrid.
Nei primi mesi della rivoluzione visse nascosto a Madrid, continuando come poté l'esercizio dell'apostolato. Venne scoperto il 29 settembre 1936, arrestato e fucilato.
Beatificato il 28 ottobre 2007.

(Fonte: www.sdb.org)
Giaculatoria - Beato Giuseppe Villanova Tormo, pregate per noi.

*San Grimoaldo di Pontecorvo - Sacerdote (29 Settembre)

Sec. XIII
Poche sono le notizie sicure su questo santo. Agiografi, otiosi bomines, ne hanno fatto un fratello di Sant'Eleuterio venerato ad Arce il 29 maggio e di San Fulco venerato a Santopadre (Frosinone) il 22 maggio. Secondo la leggenda, Grimoaldo fu un sacerdote inglese, che, dopo essersi recato come pellegrino a Roma, si portò prima ad Aquino e poi a Pontecorvo, dove, fatti alcuni miracoli, morì il 29 settembre.
Il Baronio lo ha introdotto a Martirologio Romano, «ex auctoritate monumen torum ecclesiae
aquinatis» che aveva ricevuto, ma che ora sono introvabili.
In un opuscolo Apparitiones et miracula - Iohannis Baptistae - in Pontiscorvi Oppido Campaniae facta saec. XII , è ricordato un Grimoaldo arciprete della stessa città. col quale comunemente viene identificato; un vescovo anonimo di Aquino è l'autore della narrazione.
Secondo questo racconto, un certo Giovanni Mele tentato dal demonio e sul punto di perdere la vita, ebbe un'apparizione di San Giovanni Battista, il quale gli disse di recarsi da Grimoaldo arciprete di Pontecorvo e di esortarlo a continuare la sua vita di digiuno, di preghiera e di elemosina. Doveva poi anche esortare il popolo a costruire un'edicola in suo onore.
Giovanni Mele, temendo di essere preso per visionario, non eseguí l'ordine; il santo gli mandò allora un altro messo per spingerlo ad adempiere l'incarico.
Ambedue si portarono da Grimoaldo e riferirono l'ambasciata da parte del santo. Il popolo accorse sul luogo dell'apparizione e nel 1137 cominciò ad edificare l'oratorio, le cui fondazioni furono benedette dal vescovo di Aquino, Guarino, che l'anonimo scrittore chiama suo antecessore.
Delle reliquie di Grimoaldo furono fatte ricognizioni nel 1760, 1862, 1952.

(Autore: Filippo Caraffa - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Grimoaldo di Pontecorvo, pregate per noi.

*Beato Gumersindo Gómez Rodrigo - Religioso e Martire (29 Settembre)

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Missionari del Sacro Cuore" di Gesù Beatificati nel 2017 - 29 settembre
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Benuza, Spagna, 15 ottobre 1911 - Seriñá, Spagna, 29 settembre 1936
Gumersindo Gómez Rodrigo nacque a Benuza, nella regione di León, il 15 ottobre 1911. Professò i voti tra i Missionari del Sacro Cuore di Gesù, come fratello coadiutore, l’8 dicembre 1929. Sin dal suo ingresso in congregazione si dimostrò amante del lavoro e dotato di capacità organizzative, tanto che il suo spirito di servizio lo rese apprezzato sia dai superiori, sia dai suoi sottoposti.
Il 21 luglio 1936 fu obbligato a lasciare la casa religiosa, non prima di aver preparato la cena per i ragazzi della Scuola Apostolica.
Divise con i confratelli l’espulsione dalla casa e la prigionia forzata nel parco adiacente, finché, con sei compagni, fuggì; dopo quasi un mese di peregrinazioni, caddero nelle mani dei miliziani. Al momento della morte aveva 25 anni. È stato beatificato a Girona il 6 maggio 2017, insieme ai suoi compagni di martirio.
Gumersindo Gómez Rodrigo nacque a Benuza, nella regione di León, il 15 ottobre 1911. Professò i voti tra i Missionari del Sacro Cuore di Gesù, come fratello coadiutore, l’8 dicembre 1929.
Sin dal suo ingresso in congregazione si dimostrò amante del lavoro e dotato di capacità organizzative, tanto che il suo spirito di servizio lo rese apprezzato sia dai superiori, sia dai suoi sottoposti.
Il 21 luglio 1936, nel pomeriggio, arrivò alla porta della scuola un drappello di miliziani comunisti, i quali iniziarono a sparare per aria allo scopo di segnalare la propria presenza. Un rappresentante del Comitato rivoluzionario locale si presentò con l’ordine di far sgombrare il convento.
Fratel Gumersindo, però, non volle lasciare la casa senza avere preparato la cena per i ragazzi della Scuola Apostolica.
Divise quindi con i confratelli la prigionia forzata nel parco che circondava il santuario della Madonna della Misericordia, che era vicino alla Scuola Apostolica, fino al tentativo di fuga nella notte del 3 agosto 1936.
Insieme a sei compagni, vagò per le montagne e per i boschi, domandando rifugio e indicazioni per riuscire a raggiungere la frontiera con la Francia. Il 28 settembre, dopo quasi un mese di peregrinazioni, capitarono nella casa di uno dei capi dei Comitati. Furono quindi indirizzati in un luogo chiamato La Ginella, ma là erano attesi da un gruppo di miliziani, che li catturarono all’istante.
Furono quindi condotti alla sede centrale del Comitato, a Sant Joan de les Fonts. Lungo il tragitto, le guardie domandarono loro se portassero armi e se fossero frati o sacerdoti. Replicarono che di armi non ne avevano, ma erano dei religiosi; tanto bastò per segnare la loro fine terrena.
La sera del 29 settembre 1936, i sette Missionari furono caricati su di un autobus requisito dai miliziani, legati a due a due, mentre l’ultimo aveva le mani legate dietro le spalle.
Il veicolo, preceduto da un’automobile, si fermò in un punto della strada verso Seriñá, sul ponte del fiume Ser, dove sorgeva una piccola casa in rovina.
Furono spinti fuori dall’autobus i primi quattro condannati, mentre uno dei Missionari supplicava: «Non uccideteci, che male abbiamo fatto?». Vennero quindi allineati contro il muro in rovina e fu loro ordinato di voltare le spalle.
A quel punto, si udì, forte e chiara, la voce di padre Antonio Arribas Hortigüela: «I codardi muoiono di spalle, e noi non siamo né codardi né ladri. Voi ci uccidete perché siamo religiosi. Viva...!». Plausibilmente  stava per gridare: «Viva Cristo Re!», ma la sua professione di fede fu troncata da una scarica di mitragliatrice. Uccisi i primi quattro, furono fatti scendere dal mezzo gli altri tre, che ebbero la stessa sorte.
I corpi dei Missionari, verso sera, furono raccolti e portati all’obitorio. L’indomani, 30 settembre, furono seppelliti in due fosse vicine, quattro in una e tre nell’altra. Rimasero in quel punto fino al 30 marzo 1940, quando la sepoltura venne debitamente identificata e le ossa vennero traslate in una nicchia del cimitero di Canet de Mar.
Fratel Gumersindo Gómez Rodrigo, insieme ai suoi sei compagni Antonio Arribas Hortigüela, Abundio Martín Rodríguez, José Vergara Echevarría, José Oriol Isern Massó (sacerdoti), Jesús Moreno Ruiz e José del Amo y del Amo (fratelli coadiutori), è stato beatificato il 6 maggio 2017 a Girona.

(Autore: Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Gumersindo Gómez Rodrigo, pregate per noi.

*San Lotario I - Imperatore e Monaco (29 Settembre)

795 – 29 settembre 855
Sacro Romano Imperatore, re d'Italia dal 818 al 839, era il figlio maggiore dell'imperatore Ludovico il Pio e di sua moglie Irmengarda.
Si sa poco dei primi anni della sua vita, che trascorse probabilmente alla corte di suo nonno Carlomagno, fino al 815 quando fu inviato a governare la Baviera.
Quando Ludovico divise l'Impero tra i suoi figli nel 817, Lotario fu incoronato imperatore aggiunto ad Aquisgrana ed ebbe una certa superiorità sui fratelli.
Nell'821 sposò Irmengarda (che morirà nel 851), ed il 5 aprile 823, fu incoronato imperatore da Papa Pasquale I a Roma.
Nell'855 si ammalò seriamente, e disperando della guarigione, rinunciò al trono, divise la sua terre tra i suoi tre figli e il 23 settembre entrò nel monastero di Prüm, dove morì giorni dopo.
Fu seppellito a Prüm, dove le sue spoglie furono trovate nel 1860. Il suo culto, prettamente locale, non fu mai confermato ufficialmente dalla Chiesa.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Lotario I, pregate per noi.

*San Ludwino (Liudvino) di Treviri - Vescovo (29 Settembre)

Martirologio Romano:
A Mettlach sul fiume Saar nella Renania, in Germania, deposizione di San Liudvino, vescovo di Treviri, che, fondatore del monastero del luogo, morì piamente a Reims.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Ludwino di Treviri, pregate per noi.

*Beati Martiri Spagnoli Missionari del Sacro Cuore di Gesù - Beatificati nel 2017 (29 Settembre)
Scheda del Gruppo cui appartiene:
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)

† Seriñá, Spagna, 29 settembre 1936
I padri Antonio Arribas Hortigüela, Abundio Martín Rodríguez, José Vergara Echevarría e José Oriol Isern Massó, insieme ai fratelli coadiutori Gumersindo Gómez Rodrigo, Jesús Moreno Ruiz e José del Amo y del Amo, facevano parte della comunità di Canet de Mar, vicino Barcellona, dei Missionari del Sacro Cuore di Gesù, congregazione fondata dal Servo di Dio Jules Chevalier nel 1854. Vennero fucilati il 29 settembre 1936 a Pont de Ser, sulla strada per Seriñá, nei pressi di Girona; avevano tra i venti e i ventotto anni. Sono stati beatificati a Girona il 6 maggio 2017, sotto il pontificato di papa Francesco.
I Missionari del Sacro Cuore di Gesù in Spagna
La congregazione dei Missionari del Sacro Cuore di Gesù, fondata da padre Jules Chevalier (per il quale è in corso il processo di beatificazione) nel 1854, giunse in Spagna nel 1880. Nove anni dopo fu acquistato un fabbricato a Canet de Mar, una città costiera a quaranta chilometri da Barcellona, dove fu impiantata la cosiddetta Piccola Opera. Nel 1915, divenne sede di una Scuola Apostolica, ossia la struttura dove venivano ospitati bambini e ragazzi per verificare la propria vocazione, come anche del Seminario Minore e del noviziato per la Spagna. Tutto sorgeva all’ombra del santuario della Madonna della Misericordia, che sovrastava un vasto parco.
Nella guerra civile spagnola
All’epoca del sollevamento militare del 18 luglio 1936, che diede inizio alla guerra civile spagnola, la comunità di Canet de Mar contava dodici religiosi, otto dei quali sacerdoti, mentre gli altri quattro erano fratelli coadiutori. Erano anche presenti sei novizi nella fase finale della formazione, una decina di postulanti e circa sessanta allievi della Scuola Apostolica.
I Missionari del Sacro Cuore seguivano con apprensione l’avanzare dell’insurrezione, preparandosi all’eventualità del martirio. Per facilitare la fuga, il superiore della casa aveva acquistato abiti secolari per sé e per gli altri.

La comunità prigioniera
Il 21 luglio 1936, nel pomeriggio, i membri della comunità videro sollevarsi del fumo dal centro della città: era stata data alle fiamme la chiesa parrocchiale. Il Padre superiore ordinò quindi che tutti i religiosi indossassero gli abiti da lui comprati allo scopo e consumassero le ostie consacrate, per evitare profanazioni; allo stesso scopo, fece nascondere nel giardino della casa i vasi sacri. Padre Antonio Arribas Hortigüela, che era anche l’economo della comunità, diede a ciascun confratello una piccola somma di denaro, per far fronte alle prime necessità.
Non tardò molto perché arrivasse alla porta della Piccola Opera un drappello di miliziani comunisti, i quali iniziarono a sparare per aria allo scopo di segnalare la propria presenza. Un rappresentante del Comitato rivoluzionario locale si presentò alla porta, con l’ordine di far sgombrare il convento. Alcuni tentarono la fuga immediatamente, mentre altri furono catturati. Alla fine si ritrovarono tutti nel parco del santuario della Madonna della Misericordia, diventato una sorta di campo di prigionia. Di sera erano condotti tutti, religiosi e ragazzi, in una residenza in città per dormire, ma dopo le proteste degli abitanti, impietositi da quella quotidiana processione, furono collocati nell’albergo annesso al santuario.

La fuga dei Missionari
Questa situazione durò fino al 3 agosto 1936, quando una guardia avvisò il direttore della scuola che il Comitato aveva deciso la loro uccisione per quella stessa notte. Dovevano quindi cercare di scappare; ai ragazzi, invece, non sarebbe successo nulla.
A quel punto, i Missionari si divisero in due gruppi: il primo era formato dal superiore della comunità, dal direttore della scuola e da padre José María Ordóñez Sánchez. Del secondo, invece, facevano parte i padri Antonio Arribas Hortigüela, Abundio Martín Rodríguez, José Vergara Echevarría e José Oriol Isern Massó, insieme ai fratelli coadiutori Gumersindo Gómez Rodrigo, Jesús Moreno Ruiz e José del Amo y del Amo. Avevano tra i ventotto e i vent’anni.

Un cammino difficile
I giovani religiosi s’incamminarono nei boschi, ma furono sorpresi da un violento temporale. Per circa quindici giorni furono ospitati dagli abitanti del luogo, spostandosi da una casa all’altra. Quando fu chiaro che non potevano tornare a Canet de Mar, decisero di muoversi in direzione del confine tra la Spagna e la Francia, che distava duecento chilometri, anche per non far correre il rischio di essere uccisi a coloro che li avevano accolti.
Evitando di passare per i paesi, così da non essere sorpresi dai miliziani, viaggiarono per più di un mese, quasi sempre di notte. Il 28 settembre arrivarono nella valle di Begudá e chiesero ospitalità nella masseria della famiglia Devesa, profondamente cristiana; erano in uno stato pietoso.
L’arresto e l’interrogatorio
Dopo che si furono sfamati ed ebbero avuto le indicazioni per proseguire, si persero di nuovo e dovettero nuovamente bussare a una porta. Non sapevano, però, che lì abitava uno dei capi del
Comitato locale. Furono quindi indirizzati in un luogo chiamato La Ginella, ma là erano attesi da un gruppo di miliziani, che li catturarono all’istante.
Furono quindi condotti alla sede centrale del Comitato, a Sant Joan de les Fonts. Lungo il tragitto, le guardie domandarono loro se portassero armi e se fossero frati o sacerdoti. Replicarono che di armi non ne avevano, ma erano dei religiosi; tanto bastò per segnare la loro fine terrena.

Il martirio
La sera del 29 settembre 1936, i sette Missionari furono caricati su di un autobus requisito dai miliziani, legati a due a due, mentre l’ultimo aveva le mani legate dietro le spalle. Il veicolo, preceduto da un’automobile, si fermò in un punto della strada verso Seriñá, sul ponte del fiume Ser, dove sorgeva una piccola casa in rovina.
Furono spinti fuori dall’autobus i primi quattro condannati, mentre uno dei Missionari supplicava: «Non uccideteci, che male abbiamo fatto?». Vennero quindi allineati contro il muro in rovina e fu loro ordinato di voltare le spalle.
A quel punto, si udì la voce forte e chiara di padre Arribas: «I codardi muoiono di spalle, e noi non siamo né codardi né ladri. Voi ci uccidete perché siamo religiosi. Viva...!». Plausibilmente stava per gridare: «Viva Cristo Re!», ma la sua professione di fede fu troncata da una scarica di mitragliatrice. Uccisi i primi quattro, furono fatti scendere dal mezzo gli altri tre, che ebbero la stessa sorte.
I corpi dei Missionari, verso sera, furono raccolti e portati all’obitorio. L’indomani, 30 settembre, furono seppelliti in due fosse vicine, quattro in una e tre nell’altra. Rimasero in quel punto fino al 30 marzo 1940, quando la sepoltura venne debitamente identificata e le ossa vennero traslate in una nicchia del cimitero di Canet de Mar.

La fama di martirio
Nella congregazione dei Missionari del Sacro Cuore di Gesù fu sempre viva la memoria dei confratelli di Canet de Mar. Il 31 dicembre 1947, padre José María Ordóñez Sánchez, che faceva parte del primo gruppo di fuggitivi ed era sopravvissuto alla guerra, fu incaricato dai suoi superiori di iniziare le prime ricerche storiche sull’accaduto, interrogando testimoni e raccogliendo documenti.
Il risultato della sua ricerca fu pubblicato nel settembre 1961, nel venticinquesimo anniversario dell’uccisione dei sette confratelli. Le indagini portarono anche all’identificazione dei loro nomi esatti.

Il processo di beatificazione
La causa fu quindi intitolata a Antonio Arribas Hortigüela e sei compagni; il nulla osta per l’avvio del processo diocesano porta la data del 5 luglio 1995. L’inchiesta si è quindi svolta nella diocesi di Girona, sotto cui cadeva la località dell’asserito martirio, dal 14 luglio 1995 al marzo 1999 ed è stata convalidata il 25 febbraio 2000.
La “Positio super martyrio”, consegnata nel 2007, è stata esaminata dai consultori teologi il 30 aprile 2015 e, in seguito, anche dai cardinali e vescovi della Congregazione delle Cause dei Santi. Infine, l'8 luglio 2016, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto che li dichiarava ufficialmente martiri.
Il rito della beatificazione si è svolto il 6 maggio 2017 nella cattedrale di Girona, presieduto dal cardinal Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, come inviato del Santo Padre.

L’elenco dei martiri
Accanto al nome di ciascun martire è riportato il numero della scheda biografica a lui dedicata. Per l’unico di origine catalana è stata adottata la versione castigliana del nome proprio, per una questione di uniformità. Nei titoli delle singole schede, invece, i nomi propri sono italianizzati, come sarebbe sul Martirologio Romano.
Antonio Arribas Hortigüela, sacerdote, 28 anni
Abundio Martín Rodríguez, sacerdote, 28 anni
José Vergara Echevarría, sacerdote, 28 anni
José Oriol Isern Massó, sacerdote, 27 anni
Gumersindo Gómez Rodrigo, fratello coadiutore, 25 anni
Jesús Moreno Ruiz, fratello coadiutore, 21 anni
José del Amo y del Amo, fratello coadiutore, 20 anni

(Autore: Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Martiri Spagnoli Missionari del Sacro Cuore di Gesù, pregate per noi.

*San Maurizio di Langonnet e di Carnoet - Abate (29 Settembre)

† 29 settembre 1191
Martirologio Romano: Nella Bretagna in Francia, san Maurizio, abate dapprima del monastero cistercense di Langonnet e poi di quello di Carnoët da lui fondato, dove riposò in fama di santità.
Nato nel 1115 a Croixanvec, presso Noyal-Pontivy, da genitori contadini, Maurizio trascorse quasi tutta la sua infanzia a Loudéac, dove i suoi si stabilirono e dove segui con successo gli studi.
Ordinato prete, fu nominato maestro degli studi, ma, desideroso di solitudine, prese l’abito cistercense nell’abbazia di Langonnet, fondata nel 1136 nella diocesi di Quimper (oggi Vannes) presso Pontivy, divenendone abate nel 1150.
Dopo un lungo e fecondo periodo di abbaziato, si dimise per poter condurre una vita più raccolta, ma, nel 1170, si ricorse nuovamente a lui per la direzione di una fondazione.
Il duca Conan di Bretagna, infatti, aveva offerto, per la fondazione di un’abbazia cistercense, un
possedimento presso la foresta di Carnoét, non lontano da Quimperlé, alla foce dell’EUR. Come abate di Carnoét, Maurizio si fece notare per la santità della vita e per numerosi miracoli compiuti, mutando più volte l’acqua in vino, facendo scomparire i topi che infestavano l’abbazia e divoravano i raccolti e le provviste dei religiosi, liberando la regione dai lupi che terrorizzavano gli abitanti. A Carnoet egli morì carico d’anni e di meriti, il 29 settembre 1191 e fu sepolto nella sala del capitolo.
Poiché molti miracoli erano avvenuti sulla sua tomba, il suo culto rapidamente si diffuse nel paese. I pellegrini divennero sempre più numerosi, e i religiosi trasferirono le sue spoglie nella chiesa, in un luogo che potesse essere accessibile a tutti.
Dal 1200 il monastero portò il nome di San Maurizio di Carnoét, nome che gli rimase. Nel 1221, su domanda del capitolo generale di Cìteaux, il Papa Onorio III ordinò un’inchiesta sulla vita e i miracoli di Maurizio, che però non giunse a fine; ma i papi Clemente XI (1700-1721) e Benedetto XIV (1740-1758) permisero egualmente che fosse celebrata la sua festa nelle abbazie cistercensi.
Dopo il 1871 i Cistercensi la celebrano al 13 ottobre con rito semplice e la festa, alla stessa data, ricorre anche nelle diocesi di Quimper, Vannes e St-Brieuc. Il Beato Maurizio è iscritto nel Menologio cistercense, sempre al 13 ottobre.

(Autore: M.-Anselme Dimier - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Maurizio di Langonnet e di Carnoet, pregate per noi.

*San Michele Arcangelo (29 Settembre)

Nel Nuovo Testamento il termine "arcangelo" è attribuito a Michele. Solo in seguito venne esteso a Gabriele e Raffaele, gli unici tre arcangeli riconosciuti dalla Chiesa, il cui nome è documentato nella Bibbia. San Michele, "chi come Dio?", è capo supremo dell'esercito celeste, degli angeli fedeli a Dio. Antico patrono della Sinagoga oggi è patrono della Chiesa Universale, che lo ha considerato sempre di aiuto nella lotta contro le forze del male.
Patronato: Chiesa Cattolica, Polizia, Radiologi, Droghieri
Etimologia: Michele = chi come Dio?, dall'ebraico
Martirologio Romano: Festa dei Santi Michele, Gabriele e Raffaele, arcangeli. Nel giorno della dedicazione della basilica intitolata a San Michele anticamente edificata a Roma al sesto miglio della via Salaria, si celebrano insieme i tre arcangeli, di cui la Sacra Scrittura rivela le particolari missioni: giorno e notte essi servono Dio e, contemplando il suo volto, lo glorificano incessantemente.
Il 29 settembre la Liturgia della Chiesa ricorda la festività di San Michele Arcangelo.
In un’epoca in cui le forze del male hanno enorme libertà di azione, fuorviando e rapendo anime, la
figura di San Michele assume un valore di prim’ordine. Il suo nome deriva dall’espressione «Mi-ka-El», che significa «chi è come Dio?» e poiché nessuno è come l’Onnipotente, l’Arcangelo combatte tutti coloro che si innalzano con superbia, sfidando l’Altissimo.  
Nella Sacra Scrittura è citato cinque volte:  nel libro di Daniele, di Giuda, nell’Apocalisse e in tutti i brani biblici è considerato «capo supremo dell’esercito celeste», ovvero degli angeli in guerra contro il male.
Nella Tradizione Michele è l’antitesi di Lucifero, capo degli angeli che decisero di fare a meno di Dio e perciò precipitarono negli Inferi. Michele, generale degli angeli, è colui che difende la Fede, la Verità e la Chiesa.
Dante (1265-1321) illustra mirabilmente la bellezza e la potenza di questo Principe celeste e la sua solerzia nel proteggere il genere umano dalle insidie di Satana. Nelle litanie dei Santi pregate in Purgatorio da coloro che in terra furono invidiosi, San Michele è il secondo nominato, dopo Maria Santissima, segno del suo grande potere di intercessione (Purgatorio XIII, 51).
Maria Vergine e l’Arcangelo Michele sono associati nel loro combattimento contro il demonio ed entrambi, iconograficamente parlando, hanno sotto i loro piedi, a seconda dei casi, il serpente, il drago, il diavolo in persona, che l’Arcangelo tiene incatenato e lo minaccia, pronto a trafiggerlo, con la sua spada. Il suo culto è molto diffuso sia in Oriente che in Occidente, ne danno testimonianza le innumerevoli chiese, santuari, monasteri e anche monti a lui intitolati. In Europa, durante l’alto Medioevo, furono edificati in suo onore tre gioielli di devozione, di storia, di architettura ed arte: l’abbazia di Mont Saint-Michel in Normandia, La Sacra di San Michele sul Monte Pirchiriano, in Piemonte e il santuario del Monte Gargano in Puglia. Difensore della Chiesa, la sua statua compare sulla sommità di Castel Sant’Angelo a Roma ed egli è protettore del popolo cristiano, come un tempo lo era dei pellegrini medievali contro le insidie che incontravano lungo la via.
Leone XIII (1810-1903), il 13 ottobre 1884, dopo aver terminato di celebrare la Santa Messa nella cappella vaticana, restò immobile una decina di minuti in stato di profondo turbamento. In seguito si precipitò nel suo studio. Fu allora che il Papa compose la preghiera a San Michele Arcangelo. Successivamente racconterà il Pontefice di aver udito Gesù e Satana e di aver avuto una terrificante visione dell’Inferno: «ho visto la terra avvolta dalle tenebre e da un abisso, ho visto uscire legioni di demoni che si spargevano per il mondo per distruggere le opere della Chiesa ed attaccare la stessa Chiesa che ho visto ridotta allo stremo.
Allora apparve San Michele e ricacciò gli spiriti malvagi nell’abisso. Poi ho visto San Michele Arcangelo intervenire non in quel momento, ma molto più tardi, quando le persone avessero moltiplicato le loro ferventi preghiere verso l’Arcangelo».
Dopo circa mezz’ora fece chiamare il Segretario della Sacra Congregazione dei Riti, ordinandogli di far stampare il foglio che aveva in mano e farlo pervenire a tutti i Vescovi della Chiesa: il manoscritto conteneva la preghiera che il Papa dispose di far recitare al termine della Santa Messa, la supplica a Maria Santissima e l’invocazione al Principe delle milizie celesti, per mezzo del quale si implora Dio affinché ricacci il Principe del mondo nell’Inferno. Tale supplica è caduta in disuso. Nessun Pontefice ha abrogato questa preghiera dopo il Santo Sacrificio e neppure il Novus Ordo la nega, anche se dagli anni Settanta si prese a non più recitarla, privando la Chiesa di una preziosa arma di difesa.

(Autore: Cristina Siccardi)
Il nome dell’arcangelo Michele, che significa “chi è come Dio ?”, è citato cinque volte nella Sacra Scrittura; tre volte nel libro di Daniele, una volta nel libro di Giuda e nell'Apocalisse di s. Giovanni Evangelista e in tutte le cinque volte egli è considerato “capo supremo dell’esercito celeste”, cioè degli angeli in guerra contro il male, che nell’Apocalisse è rappresentato da un dragone con i suoi angeli; esso sconfitto nella lotta, fu scacciato dai cieli e precipitato sulla terra.
In altre scritture, il dragone è un angelo che aveva voluto farsi grande quanto Dio e che Dio fece scacciare, facendolo precipitare dall’alto verso il basso, insieme ai suoi angeli che lo seguivano.
Michele è stato sempre rappresentato e venerato come l’angelo-guerriero di Dio, rivestito di armatura dorata in perenne lotta contro il Demonio, che continua nel mondo a spargere il male e la ribellione contro Dio.
Egli è considerato allo stesso modo nella Chiesa di Cristo, che gli ha sempre riservato fin dai tempi antichissimi, un culto e devozione particolare, considerandolo sempre presente nella lotta che si combatte e si combatterà fino alla fine del mondo, contro le forze del male che operano nel genere umano. Dante nella sua ‘Divina Commedia’ pone il demonio (l’angelo Lucifero) in fondo all’inferno, conficcato a testa in giù al centro della terra, che si era ritirata al suo cadere, provocando il grande cratere dell’inferno dantesco. Dopo l’affermazione del cristianesimo, il culto per san Michele, che già nel mondo pagano equivaleva ad una divinità, ebbe in Oriente una diffusione enorme, ne sono testimonianza le innumerevoli chiese, santuari, monasteri a lui dedicati; nel secolo IX solo a Costantinopoli, capitale del mondo bizantino, si contavano ben 15 fra santuari e monasteri; più altri 15 nei sobborghi.
Tutto l’Oriente era costellato da famosi santuari, a cui si recavano migliaia di pellegrini da ogni regione del vasto impero bizantino e come vi erano tanti luoghi di culto, così anche la sua celebrazione avveniva in tanti giorni diversi del calendario.
Perfino il grande fiume Nilo fu posto sotto la sua protezione, si pensi che la chiesa funeraria del Cremlino a Mosca in Russia, è dedicata a S. Michele. Per dirla in breve non c’è Stato orientale e nord africano, che non possegga oggetti, stele, documenti, edifici sacri, che testimoniano la grande venerazione per il santo condottiero degli angeli, che specie nei primi secoli della Chiesa, gli venne tributata.
In Occidente si hanno testimonianze di un culto, con le numerosissime chiese intitolate a volte a S. Angelo, a volte a S. Michele, come pure località e monti vennero chiamati Monte Sant’Angelo o Monte San Michele, come il celebre santuario e monastero in Normandia in Francia, il cui culto fu portato forse dai Celti sulla costa della Normandia; certo è che esso si diffuse rapidamente nel mondo Longobardo, nello Stato Carolingio e nell’Impero Romano.
In Italia sano tanti i posti dove sorgevano cappelle, oratori, grotte, chiese, colline e monti tutti intitolati all’arcangelo Michele, non si può accennarli tutti, ci fermiamo solo a due: Tancia e il
Gargano.
Sul Monte Tancia, nella Sabina, vi era una grotta già usata per un culto pagano, che verso il VII secolo, fu dedicata dai Longobardi a San Michele; in breve fu costruito un santuario che raggiunse gran fama, parallela a quella del Monte Gargano, che comunque era più antico.
La celebrazione religiosa era all’8 maggio, data praticata poi nella Sabina, nel Reatino, nel Ducato Romano e ovunque fosse estesa l’influenza della badia benedettina di Farfa, a cui i Longobardi di Spoleto, avevano donato quel santuario.
Ma il più celebre santuario italiano dedicato a San Michele, è quello in Puglia sul Monte Gargano; esso ha una storia che inizia nel 490, quando era papa Gelasio I; la leggenda racconta che casualmente un certo Elvio Emanuele, signore del Monte Gargano (Foggia) aveva smarrito il più bel toro della sua mandria, ritrovandolo dentro una caverna inaccessibile.
Visto l’impossibilità di recuperarlo, decise di ucciderlo con una freccia del suo arco; ma la freccia inspiegabilmente invece di colpire il toro, girò su sé stessa colpendo il tiratore ad un occhio. Meravigliato e ferito, il signorotto si recò dal suo vescovo s. Lorenzo Maiorano, vescovo di Siponto (odierna Manfredonia) e raccontò il fatto prodigioso.
Il presule indisse tre giorni di preghiere e di penitenza; dopodiché s. Michele apparve all’ingresso della grotta e rivelò al vescovo: “Io sono l’arcangelo Michele e sto sempre alla presenza di Dio. La caverna è a me sacra, è una mia scelta, io stesso ne sono vigile custode. Là dove si spalanca la roccia, possono essere perdonati i peccati degli uomini… Quel che sarà chiesto nella preghiera, sarà esaudito. Quindi dedica la grotta al culto cristiano”.
Ma il santo vescovo non diede seguito alla richiesta dell’arcangelo, perché sul monte persisteva il culto pagano; due anni dopo, nel 492 Siponto era assediata dalle orde del re barbaro Odoacre (434-493); ormai allo stremo, il vescovo e il popolo si riunirono in preghiera, durante una tregua, e qui riapparve l’arcangelo al vescovo San Lorenzo, promettendo loro la vittoria, infatti durante la battaglia si alzò una tempesta di sabbia e grandine che si rovesciò sui barbari invasori, che spaventati fuggirono.
Tutta la città con il vescovo, salì sul monte in processione di ringraziamento; ma ancora una volta il vescovo non volle entrare nella grotta. Per questa sua esitazione che non si spiegava, San Lorenzo Maiorano si recò a Roma dal Papa Gelasio I (490-496), il quale gli ordinò di entrare nella grotta insieme ai vescovi della Puglia, dopo un digiuno di penitenza.
Recatosi i tre vescovi alla grotta per la dedicazione, riapparve loro per la terza volta l’arcangelo, annunziando che la cerimonia non era più necessaria, perché la consacrazione era già avvenuta con la sua presenza. La leggenda racconta che quando i vescovi entrarono nella grotta, trovarono un altare coperto da un panno rosso con sopra una croce di cristallo e impressa su un masso l’impronta di un piede infantile, che la tradizione popolare attribuisce a s. Michele.
Il vescovo san Lorenzo fece costruire all’ingresso della grotta, una chiesa dedicata a s. Michele e inaugurata il 29 settembre 493; la Sacra Grotta è invece rimasta sempre come un luogo di culto mai consacrato da vescovi e nei secoli divenne celebre con il titolo di “Celeste Basilica”.
Attorno alla chiesa e alla grotta è cresciuta nel tempo la cittadina di Monte Sant’Angelo nel Gargano. I Longobardi che avevano fondato nel secolo VI il Ducato di Benevento, vinsero i feroci nemici delle coste italiane, i saraceni, proprio nei pressi di Siponto, l’8 maggio 663, avendo attribuito la vittoria alla protezione celeste di s. Michele, essi presero a diffondere come prima accennato, il culto per l’arcangelo in tutta Italia, erigendogli chiese, effigiandolo su stendardi e monete e instaurando la festa dell’8 maggio dappertutto.
Intanto la Sacra Grotta diventò per tutti i secoli successivi, una delle mete più frequentate dai pellegrini cristiani, diventando insieme a Gerusalemme, Roma, Loreto e S. Giacomo di Compostella, i poli sacri dall’Alto Medioevo in poi.
Sul Gargano giunsero in pellegrinaggio papi, sovrani, futuri Santi. Sul portale dell’atrio superiore della basilica, che non è possibile descrivere qui, vi è un’iscrizione latina che ammonisce: “che questo è un luogo impressionante. Qui è la casa di Dio e la porta del Cielo”.
Il santuario e la Sacra Grotta sono pieni di opere d’arte, di devozione e di voto, che testimoniano lo scorrere millenario dei pellegrini e su tutto campeggia nell’oscurità la statua in marmo bianco di S. Michele, opera del Sansovino, datata 1507.
L’arcangelo è comparso lungo i secoli altre volte, sia pure non come sul Gargano, che rimane il centro del suo culto, ed il popolo cristiano lo celebra ovunque con sagre, fiere, processioni, pellegrinaggi e non c’è Paese europeo che non abbia un’abbazia, chiesa, cattedrale, ecc. che lo ricordi alla venerazione dei fedeli.
Apparendo ad una devota portoghese Antonia de Astonac, l’arcangelo promise la sua continua assistenza, sia in vita che in purgatorio e inoltre l’accompagnamento alla S. Comunione da parte di un angelo di ciascuno dei nove cori celesti, se avessero recitato prima della Messa la corona angelica che gli rivelò.

I cori sono:
Serafini, Cherubini, Troni, Dominazioni, Potestà, Virtù, Principati, Arcangeli ed Angeli.

La sua festa liturgica principale in Occidente è iscritta nel Martirologio Romano al 29 settembre e nella riforma del calendario liturgico del 1970, è accomunato agli altri due arcangeli più conosciuti, Gabriele e Raffaele nello stesso giorno, mentre l’altro arcangelo a volte nominato nei testi apocrifi, Uriele, non gode di un culto proprio.
Per la sua caratteristica di “guerriero celeste” s. Michele è patrono degli spadaccini, dei maestri d’armi; poi dei doratori, dei commercianti, di tutti i mestieri che usano la bilancia, i farmacisti, pasticcieri, droghieri, merciai; fabbricanti di tinozze, inoltre è patrono dei radiologi e della Polizia.
È patrono principale delle città italiane di Cuneo, Caltanissetta, Monte Sant’Angelo, Sant’Angelo dei Lombardi, compatrono di Caserta.
Difensore della Chiesa, la sua statua compare sulla sommità di Castel S. Angelo a Roma, che come è noto era diventata una fortezza in difesa del Pontefice; protettore del popolo cristiano, così come un tempo lo era dei pellegrini medievali, che lo invocavano nei santuari ed oratori a lui dedicati, disseminati lungo le strade che conducevano alle mete dei pellegrinaggi, per avere protezione contro le malattie, lo scoraggiamento e le imboscate dei banditi.
Per quanto riguarda la sua raffigurazione nell’arte in generale, è delle più vaste; ogni scuola pittorica in Oriente e in Occidente, lo ha quasi sempre raffigurato armato in atto di combattere il demonio.
Sul Monte Athos nel convento di Dionisio del 1547, i tre principale arcangeli sono così raffigurati, Raffaele in abito ecclesiastico, Michele da guerriero e Gabriele in pacifica posa e rappresentano i poteri religioso, militare e civile.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Corona angelica di San Michele arcangelo
Chi alza lo sguardo su Castel Sant’Angelo a Roma vede la maestosa figura di san Michele. La statua fu innalzata per ringraziarlo di aver fatto cessare la peste che aveva colpito la città sul finire del VI secolo. È soltanto una delle centinaia di testimonianze della poderosa assistenza concessa agli uomini dall’arcangelo, da sempre considerato l’antagonista di Satana. La Chiesa cattolica lo celebra il 29 settembre e in questi i giorni i suoi devoti recitano la «Novena delle Grazie».
Un’altra devozione popolare è quella della «Corona angelica». Trae origine dall’apparizione dell’arcangelo, nel 1751, alla suora portoghese Antonia de Astonac. San Michele promise continua assistenza – sia in vita, sia in purgatorio dopo la morte – a chi lo avesse onorato recitando quotidianamente la sequenza che egli stesso rivelò. Papa Pio IX dotò questa devozione di un’indulgenza che può essere applicata anche alle anime del purgatorio. La «Corona angelica» è composta da nove strofe. Al termine di ciascuna di esse si pronunciano un Padre nostro e tre Ave Maria. A pochi giorni di distanza, il 2 ottobre, la liturgia ricorda poi gli Angeli custodi, il cui compito fu spiegato da Dio stesso, nel libro biblico dell’Esodo, a Mosè: «Io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino». La devozione “ufficiale” si può far risalire al 1523, quando il vescovo francese François d’Estaing ottenne da Papa Adriano VI l’istituzione di una festa dedicata a loro. Intorno al 1600 venne definitivamente precisata la formulazione della preghiera dell’Angelo di Dio. Si tratta di una quartina con la quale iniziava il lungo poema di un monaco inglese della fine dell’XI secolo: «Angelo di Dio, che sei il mio custode, illumina, custodisci, reggi e governa me, che ti fui affidato dalla pietà celeste». Dal 29 settembre al 1° ottobre i devoti recitano il Triduo dell’Angelo custode, composto da tre invocazioni. Anche Giovanni Paolo II intervenne più volte per ricordare l’autentico magistero ecclesiale a riguardo degli angeli, in relazione soprattutto agli errori dottrinali della cosiddetta New Age.

(Autore: Saverio Gaeta - Fonte: Enciclopedia dei Santi)            

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*Santi Michele di Aozaraza, Guglielmo Courtet, Vincenzo Shiwozuka, Lazzaro di Kyoto e Lorenzo Ruiz - Martiri (29 Settembre)
Scheda del Gruppo cui appartiene:
"Santi Lorenzo Ruiz di Manila e 15 Compagni" - 28 settembre - Memoria Facoltativa

† Nagasaki, Giappone, 29 settembre 1637
Martirologio Romano: A Nagasaki in Giappone, passione dei Santi Martiri Michele de Aozaráza, Guglielmo Courtet, Vincenzo Shiwozuka, sacerdoti dell’Ordine dei Predicatori, Lazzaro di Kyoto e Lorenzo da Manila Ruiz, padre di famiglia, che, tenuti in prigione per oltre un anno per il nome di Cristo, subirono il supplizio della croce e infine la decapitazione. La loro memoria, insieme a quella di altri compagni, si celebra il giorno precedente a questo.
Lorenzo Ruiz è il protomartire delle Filippine, il paese più cattolico dell'Estremo Oriente, ma il suo martirio insieme ad altri 15 compagni non si consumò nella sua terra, bensì nel Giappone.
La fedeltà dei cristiani giapponesi
La lunga e feroce persecuzione contro i cristiani in Giappone li aveva privati di sacerdoti, ma non aveva distrutto la loro fede. Quando nel 1634 alcuni commercianti spagnoli sbarcarono nelle isole Okinawa, i fervorosi cristiani, che qui si trovavano, li scongiurarono di mandar loro dei missionari. Essi avrebbero trovato il modo di introdurli segretamente nelle altre isole per portare conforto alle comunità cristiane che vivevano in clima di catacombe.
L'appello arrivò al provinciale dei domenicani a Manila e questi nel giro di due anni riuscì a preparare un gruppo di missionari e a noleggiare una piccola nave che doveva partire in segreto per Okinawa, avendo il governatore spagnolo proibito l'invio di personale in Giappone per le tensioni politiche tra i due paesi.

I sei missionari
La comitiva era composta da sei persone. II responsabile della missione, candidato a diventare vescovo del Giappone, era p. Antonio Gonzalez, spagnolo, professore di teologia, che dal 1631 stava studiando la lingua giapponese. Lo seguivano subito il p. Guglielmo Courtet, francese, anch egli professore di teologia che sin da giovane sognava di sostituire i missionari francescani e gesuiti martirizzati in Giappone; il p. Michele de Aozaraza, spagnolo, che aveva lavorato con successo come missionario nell'isola di Luzón; e il p. Vincenzo Shiwozuka della Croce, che da ragazzo era fuggito dal Giappone, forse da Nagasaki, e nelle Filippine era diventato sacerdote, prendendosi cura soprattutto dei cristiani giapponesi riparati in questo paese e insegnando la lingua della sua terra ai missionari. Non gli parve vero quando gli si presentò l'occasione di tornare nel suo paese per aiutare i cristiani perseguitati e si unì con entusiasmo al gruppo del p. Gonzalez. A questi si aggiunse anche un altro giapponese, un laico, Lazzaro da Kioto.
Era stato cacciato dalla sua città nel 1632 perché era cristiano e malato di lebbra. Ora si offriva per fare da guida e da interprete ai missionari. Infine anche Lorenzo Ruiz si accodò al gruppo per puro caso.
Lorenzo era nato a Binondo (Manila) intorno al 600 da madre tagala e padre cinese. Era vissuto molto legato al convento dei domenicani, facendo parte della confraternita del Rosario, ed era diventato un notaio di fama in città. Era sposato e aveva due figli. Mentre si stava preparando il viaggio dei missionari, si trovò coinvolto in un fatto criminale non meglio identificato ed era ricercato dalla polizia. Per sfuggire alla cattura e nel desiderio di trovare un nuovo posto di lavoro dove poi trasferirsi con tutta la famiglia, chiese e ottenne di partire con i missionari, ma senza alcuna intenzione apostolica.
Dopo un mese di fortunosa navigazione la comitiva toccava l'isola di Okinawa, accolta molto bene dai cristiani del posto. Non riuscendo a nascondere il loro fervore, dopo alcuni mesi, nel settembre del
1636, furono individuati come cristiani e vennero arrestati e trasportati a Nagasaki per il processo.
Le torture e gli interrogatori
Secondo il costume del paese i prigionieri venivano torturati con metodi particolarmente disumani. Li si costringeva ad ingoiare con un imbuto una grande quantità d'acqua per poi fargliela rigettare facendo violenta pressione sul loro ventre; si conficcavano loro dei pezzettini di canna di bambù sotto le unghie e negli organi sessuali; venivano sospesi coi piedi a una forca immergendone il capo in una fossa di rifiuti chiusa attorno al collo da due pezzi di legno circolari. Erano poi esposti in una gabbia sulla piazza o trasportati per le vie della città per essere scherniti dalla folla.
Le torture erano così crudeli che il p. Vincenzo, in un momento di debolezza, si disse pronto a rinunziare alla fede cristiana. Lo stesso avvenne con Lazzaro. Ma quando a sera i missionari si ritrovarono da soli in carcere, i due chiesero perdono a tutti e riaffermarono la volontà di morire martiri.
Il 23 settembre ricominciarono gli interrogatori e le torture. Quando chiesero a Lorenzo Ruiz se era disposto a rinnegare la fede per salvare la sua vita, egli rispose con decisione che era pronto a mo­rire per il suo Signore: «Vorrei dare - disse - mille volte la mia vita per lui. Non sarò mai apostata. Potete uccidermi se volete. La mia volontà è di morire per Dio».
I prigionieri furono condannati a morte e, condotti sulla collina della città di Nagasaki, furono sottoposti alla tortura della forca e della fossa. Resistettero tre giorni senza che nessuno rinnegasse la fede. I carnefici, stanchi di attendere e desiderosi di prendere parte a una battuta di caccia, li decapitarono. Era il 29 settembre 1637. Quando la notizia del loro martirio giunse a Manila, il popolo e le autorità vollero onorare solennemente la loro memoria.

(Fonte: Il Libro dei Testimoni)
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*Santi Michele, Gabriele e Raffaele - Arcangeli (29 Settembre)

Il Martirologio commemora insieme i santi arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele.
La Bibbia li ricorda con specifiche missioni: Michele avversario di Satana, Gabriele annunciatore e Raffaele soccorritore.
Prima della riforma del 1969 si ricordava in questo giorno solamente San Michele arcangelo in memoria della consacrazione del celebre santuario sul monte Gargano a lui dedicato.
Il titolo di arcangelo deriva dall’idea di una corte celeste in cui gli angeli sono presenti secondo gradi e dignità differenti.
Gli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele occupano le sfere più elevate delle gerarchie angeliche.
Queste hanno il compito di preservare la trascendenza e il mistero di Dio. Nello stesso tempo, rendono presente e percepibile la sua vicinanza salvifica.

Martirologio Romano: Festa dei Santi Michele, Gabriele e Raffaele, arcangeli.
Nel giorno della dedicazione della basilica intitolata a San Michele anticamente edificata a Roma al sesto miglio della via Salaria, si celebrano insieme i tre arcangeli, di cui la Sacra Scrittura rivela le particolari missioni: giorno e notte essi servono Dio e, contemplando il suo volto, lo glorificano incessantemente.
Il 29 di settembre la Chiesa commemora la festa liturgica dei santi Arcangeli:

San Michele
San Gabriele
San Raffaele

Michele (Chi è come Dio?) è l’arcangelo che insorge contro Satana e i suoi satelliti (Gd 9; Ap 12, 7;
cfr Zc 13, 1-2), difensore degli amici di Dio (Dn 10, 13.21), pretettore del suo popolo (Dn 12, 1).
Gabriele (Forza di Dio) è uno degli spiriti che stanno davanti a Dio (Lc 1, 19), rivela a Daniele i segreti del piano di Dio (Dn 8, 16; 9, 21-22), annunzia a Zaccaria la nascita di Giovanni Battista (Lc 1, 11-20) e a Maria quella di Gesù (Lc 1, 26-38).
Raffaele (Dio ha guarito), anch’egli fra i sette angeli che stanno davanti al trono di Dio (Tb 12, 15; cfr Ap 8, 2), accompagna e custodisce Tobia nelle peripezie del suo viaggio e gli guarisce il padre cieco.
La Chiesa pellegrina sulla terra, specialmente nella liturgia eucaristica, è associata alle schiere degli angeli che nella Gerusalemme celeste cantano la gloria di Dio (cfr Ap 5, 11-14; Conc. Vat. II, Costituzione sulla sacra liturgia, «Sacrosanctum Concilium», 8).
Il 29 settembre il martirologio geronimiano (sec. VI) ricorda la dedicazione della basilica di San Michele (sec. V) sulla via Salaria a Roma.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Beato Nicola da Forca Palena (29 Settembre)

10 settembre 1349 - 1 ottobre 1449
Martirologio Romano: A Roma, Beato Nicola da Forca Palena, sacerdote dell’Ordine degli Eremiti di San Girolamo, che sul colle Gianicolo fondò il monastero di Sant’Onofrio, dove centenario riposò nel Signore.
Nel cuore di Roma, poco distante dalla Basilica di San Pietro, sorge la chiesa di Sant'Onofrio al Gianicolo, il gioiello rinascimentale in cui è sepolto Torquato Tasso che qui visse l'ultimo periodo della sua vita e morì il 25 aprile 1595. Sotto la mensa dell'altare maggiore riposano invece le spoglie di Nicolò da Forca Palena, fondatore nel secolo XV del monastero e della chiesa.
La lunga vita del Beato ebbe inizio in una modesta casa di Forca (Chieti), tra le montagne abruzzesi, il 10 settembre 1349.
Il giorno precedente un devastante terremoto aveva sconvolto l'Italia centro meridionale, complicando una situazione resa già difficile dalle ataviche lotte per il controllo delle terre,
dall'asprezza del territorio e del clima, rigido per buona parte dell'anno. Forca, sebbene piccolo, sorgeva in una posizione strategica ed era spesso saccheggiato dalle compagnie di ventura.
Poco conosciamo dell'adolescenza di Nicolò.
A circa trenta anni, con i suoi compaesani, fu costretto a trasferirsi nella vicina Palena che era difesa da possenti mura e dal castello del Conte Giovanni di Manoppello. Così, in una situazione più tranquilla, intraprese la vita religiosa. Nominato vicecurato della chiesa di Sant'Antonio, conquistò, per la grande bontà d'animo, la benevolenza del clero e del popolo e il suo ministero sacerdotale fu, per circa venti anni, molto intenso. La bellezza delle montagne e le verdi foreste circostanti ben si addicevano al suo spirito contemplativo.
Dopo un pellegrinaggio a Roma, sulle tombe degli apostoli e dei martiri, sentì il desiderio di una vita più raccolta e austera. Trasferitosi nella città eterna entrò in una comunità di eremiti guidata da Rinaldo di Piedimonte che non aveva una regola particolare, ma era aggregata al Terz'Ordine Francescano. Il cenobio sorgeva in una torre vicino alle terme di Nerone, presso la chiesa di San Salvatore. Doti intellettuali e virtù morali eccellenti gli procurarono la fiducia dei confratelli e fu dunque naturale che, su indicazione dello stesso Rinaldo, venisse eletto, dopo la sua morte, successore nella carica di priore.
Nel 1400 era stato indetto il Giubileo. Ad alcune alte gerarchie ecclesiastiche in lotta per il potere, condizionate dalle potenze europee perennemente attente a controllare l'elezione e l'operato del papa, rispondeva il popolo con la nascita di movimenti ascetici collettivi come le compagnie dei flagellanti. Per molti anni, inoltre, al pontefice si contrapposero persino due antipapi e Roma, vivendo in condizioni di miseria, era provata da frequenti disordini che costringevano persino il papa a risiedere altrove. Questo fu il contesto in cui visse Nicolò.
Successivamente il nostro Beato, visto il numero crescente degli aspiranti compagni, fondò a Napoli un cenobio per gli eremiti di Sperlonga che prese il nome di Santa Maria delle Grazie e un ospizio sulla piazza di Sant'Agnello.
Nel 1419 tornò a Roma e diede vita, sul Gianicolo, ad un romitorio con patrono Sant'Onofrio (l'anacoreta del IV secolo della Tebaide) per la cui costruzione ricevette aiuti da vari benefattori tra cui i Cardinali Condulmer (poi Papa Eugenio IV) e De Cupis. Conobbe il B. Pietro Gambacorta da Pisa, il nobile divenuto fondatore dei Poveri Eremiti di S. Girolamo e tra i due nacque un'amicizia fraterna.
Papa Eugenio IV, stimandolo moltissimo, lo volle nel 1434 e nel 1437 a Firenze (dove temporaneamente risiedeva), riformatore e fondatore di due monasteri. L'amore di Dio portò
dunque più volte l'umile montanaro abruzzese ad abbandonare la vita contemplativa per operare in monasteri di grandi città.
Tornato definitivamente sul Gianicolo, da cui vedeva tutta la città, visse serenamente gli ultimi anni. Novantenne, diede ancora inizio alla costruzione della chiesa annessa al romitorio mentre, con i suoi compagni, confluiva nella congregazione del Beato Pietro Gambacorta, i Girolamini, approvati dal Papa nel 1446.
Nicolò morì centenario il 1° ottobre 1449. La salma, esposta tre giorni alla venerazione dei fedeli, fu tumulata sotto il pavimento della chiesa, come era allora consuetudine. Papa Nicolò V, il pontefice umanista suo amico, ne dettò la scritta sepolcrale: “… Tu elimini i mali senza alcuna scienza medica, perché in te l'amore, in te la fede, in te i doni di Cristo”.
Nel 1712 il corpo fu solennemente trasferito sotto la mensa dell'altare maggiore, dove è tuttora venerato. La costante devozione e i miracoli presso la sua tomba fecero istruire il processo di beatificazione che si concluse con l'approvazione del culto da parte di Papa Clemente XIV il 27 agosto 1771. Palena lo aveva già scelto compatrono il 14 marzo 1638 e ancora oggi gli dedica solenni festeggiamenti nel mese di agosto.
I Girolamini vennero ufficialmente sciolti nel 1933 mentre dal 1945 la chiesa di Sant'Onofrio è sede dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme.

Autore: Daniele Bolognini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Nicola da Forca Palena, pregate per noi.

*Beati Paolo Bori Puig e Vincenzo Sales Genovés - Gesuiti, Martiri (29 Settembre)
Schede dei gruppi a cui appartengono:
“Beati Martiri Spagnoli Gesuiti”
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia Beatificati nel 2001”
“Martiri della Guerra di Spagna”

+ Valencia, Spagna, 29 settembre 1936
Padre Pablo Bori Puig nacque a Vilet de Maldá (Tarragona) il 12 novembre 1864 ed entrò nella Compagnia di Gesù  nel 1891, ove divenne sacerdote.
Fu tesoriere del lebbrosario di Fontilles e direttore spirituale dei gesuiti in dispersione.
Fratel Vicente Sales Genovés nacque a Valencia il 15 ottobre 1881 ed entrò nella Compagnia di Gesù
nel 1915.
Dopo aver svolto l’incarico di portiere nel Noviziato di Gandía, fu destinato a Valencia.
Durante la guerra civile spagnola furono uccisi insieme presso Valencia il 29 settembre 1936.

Martirologio Romano: A Valencia sempre in Spagna, Beati martiri Paolo Bori Puig, sacerdote, e Vincenzo Sales Genovés, religioso, della Compagnia di Gesù, che sostennero il glorioso combattimento per Cristo.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Paolo Bori Puig e Vincenzo Sales Genovés, pregate per noi.

*San Raffaele Arcangelo (29 Settembre)

Nel Nuovo Testamento il termine "arcangelo" è attribuito a Michele. Solo in seguito venne esteso a Gabriele e Raffaele, gli unici tre arcangeli riconosciuti dalla Chiesa, il cui nome è documentato nella Bibbia. San Raffaele, "Dio guarisce", è nominato ampliamente nel libro di Tobia ed in molti apocrifi ed è invocato come guaritore.
Patronato: Ciechi
Etimologia: Raffaele (come Raffaella e Raffaello) = Dio guarisce, dall'ebraico
Martirologio Romano: Festa dei santi Michele, Gabriele e Raffaele, arcangeli. Nel giorno della dedicazione della basilica intitolata a San Michele anticamente edificata a Roma al sesto miglio della via Salaria, si celebrano insieme i tre arcangeli, di cui la Sacra Scrittura rivela le particolari missioni: giorno e notte essi servono Dio e, contemplando il suo volto, lo glorificano incessantemente.
Per gli adolescenti ed i giovani che vanno fuori di casa per la prima volta c’è un patrono d’eccezione, l’arcangelo San Raffaele.
II motivo di tale patronato è presto detto.
Egli è quello spirito creato da Dio che compare nel libro di Tobia, il libro della Bibbia che, per la verità, inizia con l’attribuzione a Tobith, suo padre.
Trattasi di un racconto edificante, variamente datato fra il periodo persiano e l’epoca delle rivolte maccabaiche.
Le vicende del padre, improvvisamente cieco, e del figlio, esiliati dal regno di Israele a Ninive nel VIII secolo a.C., al tempo cioè della deportazione assira, sono intrecciate intorno al “puro” e all’“impuro” e più in generale intorno all’obbedienza alla Legge.

Nucleo centrale del libro è il viaggio intrapreso da Tobia per recuperare, in terra lontana, un credito del padre divenuto indigente,con il “sicuro” accompagnamento di un personaggio che si rivelerà essere alla fine l’arcangelo Raffaele.
Una volta giunti sulle rive del Tigri, Tobia veniva invitato a pescare nel fiume con le mani un pericoloso pesce in parte per alimentarsi ma, soprattutto, per conservarne il cuore, il fegato ed il fiele.
Nel complicato e avventuroso viaggio essi diventeranno elementi di clamorose guarigioni.
Con i profumi dei due organi posti sopra un braciere, Sarra, posseduta dal demonio che le aveva fatto morire i primi sette mariti, ne verrà liberata e diventerà,senza più
pericolo, moglie di Tobia. Più avanti, con il fiele applicato sugli occhi del padre, il giovane riuscirà a guarirlo dalla cecità.
Col credito recuperato si trattava, a conclusione del racconto, di ricompensare il generoso accompagnatore.
Raffaele però, svelatosi come colui che “presenta il ricordo delle preghiere davanti alla Gloria del Signore” (12,12), rifiutava ogni offerta e, invitando a ringraziare Iddio, saliva in alto.  Nel Medioevo gli adolescenti ed i giovani che lasciavano la casa per la prima volta si ponevano sotto la protezione di San Raffaele e portavano con loro una tavoletta che li raffigurava nei panni di Tobia accompagnato dall’arcangelo.
Dal racconto biblico si comprende anche come Raffaele sia invocato contro molte malattie dell’anima e del corpo.
Negli ultimi tempi la sua festività liturgica è stata portata dal 24 ottobre al 29 settembre, insieme a quella di Michele e di Gabriele. Ancora oggi i farmacisti lo ricordano ogni anno come loro principale patrono.

(Autore: Mario Benatti - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Raffaele Arcangelo, pregate per noi.

*San Renato Goupil - Martire (29 Settembre)
Scheda del gruppo a cui appartiene:

“Santi Martiri Canadesi” (Giovanni de Brébeuf, Isacco Jogues e compagni) Martiri
Saint-Martin-du-Bois, Francia, 15 maggio 1608 - Ossenon, U.S.A., 29 settembre 1642
Martirologio Romano: Nel villaggio di Ossernenon in territorio canadese, passione di San Renato Goupil, martire, che, medico e collaboratore di Sant’Isacco Jogues, fu ucciso da un pagano con un colpo di scure.
René Goupil nacque il 15 maggio 1608 a Saint-Martin-du-Bois, nella diocesi francese di Angers.
Studiò a Chantilly, nei pressi di Parigi, ma dovette interrompere il suo noviziato dai Gesuiti a causa della sua sordità.
Entrò allora tra i coadiutori, laici che si ponevano gratuitamente al servizio dei Gesuiti in cambio del loro sostentamento, ed essendo medico chirurgo si offrì volontario per andare a lavorare negli ospedali che la congregazione tra le altre cose aveva fondato in Canada.
Nel 1640 René Goupil giunse così alla missione di Saint-Joseph de Sillery.
Due anni dopo, intraprese un viaggio in canoa con Padre Isaac Jogues ed una quarantina di Uroni
verso le missioni nelle terre di questo popolo, ma caddero in un imboscata tesa sul lago Saint-Pierre dagli Irochesi, acerrimi nemici degli Uroni.
Furono torturati ferocemente e mutilati, vedendosi strappare prima le loro unghie e poi anche le dita.
Nella notte li posero sdraiati a terra, nudi ed incatenati, e versarono loro addosso carboni ardenti e ceneri.
Durante la prigionia il Goupil fu visto insegnare il segno della croce ad alcuni bambini ed allora venne ucciso con il tomahawk presso Ossenon il 29 Settembre 1642.
Spirò pronunciando il nome di Gesù. Si trovava nei pressi dell’odierna Auriesville, nello stato di New York.
Il suo decesso fu registrato nelle Relations des Jésuites.
René Goupil non fu che il primo gesuita ad effondere con il suo sangue la terra del Nord America,
seguito quattro anni dopo dal suddetto Isacco Jogues ed altri sei loro confratelli.
Questi otto martiri furono beatificati nel 1925 e canonizzati nel 1930 da Papa Pio XI.
Mentre la commemorazione del singolo San Renato Goupil ricorre nel Martyrologium Romanum in data odierna nell’anniversario del suo martirio, la festa collettiva di questo gruppo di martiri è fissata dal calendario liturgico al 19 ottobre.
San Renato Goupil è talvolta considerato quale celeste patrono degli anestesisti.
Una parrocchia è a lui dedicata nel quartiere Saint-Michel a Montréal, nei cui pressi si trova anche un parco omonimo.
Altre parrocchie di Saint René Goupil si trovano nella diocesi di Gatineau-Hull e nello stato di Minnesota.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Renato Goupil, pregate per noi.

*Sante Ripsima, Gaiana e Compagne - Martiri in Armenia (29 Settembre)

Roma, III-IV secolo – Valeroctiste (Armenia), † 4 e 5 novembre 313
Martirologio Romano: A Ečmiadzin in Armenia, Sante Ripsime, Gaiana e compagne, martiri.
La ‘Vita’ delle sante e la ‘Vita di San Gregorio l’Illuminatore detto anche San Gregorio Armeno, sono le fonti della tradizione armena che le ricorda.
In questa scheda, necessariamente succinta, si evita di riportare i racconti delle "Vite" singole, come quelli delle tradizioni locali, preferendo dare un riassunto che comprenda tutte quelle parti comuni e convergenti delle singole fonti, storicamente accettate dagli studiosi agiografi.
Nel 306 a Roma, l’imperatore Massenzio (278-312) s’impadronì del potere e, secondo lo storico Eusebio, in principio lo usò con moderazione, ordinando la fine delle persecuzioni contro i cristiani; però col trascorrere del tempo, seguì la sua indole perversa e prese a sottrarre con il potere, le mogli ai loro mariti, specialmente quelle dei patrizi e dei senatori.
Le nobildonne di Roma passarono momenti difficili e quindi Hripsime, che apparteneva alla nobiltà imperiale, ma viveva vita monastica con altre compagne, sotto la guida di Gaiana nelle vicinanze di
Roma, decise di lasciare la città per sfuggire a tale infamia; è da sottolineare che era dotata di una bellezza straordinaria, a tutti nota nell’ambiente della nobiltà.
Il gruppo di donne decise di spostarsi verso l’Oriente e l’itinerario della fuga fu determinato da altre circostanze; nel succedersi e avvicendarsi degli imperatori, chi a Roma chi in Oriente, nel 311 con Massimino Daia († 313) ricominciarono le persecuzioni contro i cristiani, che termineranno come è noto, con Costantino il Grande e l’editto di Milano del 313.
Per cui molti cristiani preferirono andare in esilio volontario nei paesi limitrofi, non assoggettati direttamente a Roma; così Hripsime e le compagne, furono prima in Egitto, poi in Palestina, Siria e infine in Armenia.
L’origine romana delle sante, appare molto probabile esaminando i loro nomi armeni, Gaiana è certamente il diminutivo di Gaia; Nune una delle compagne, reca il nome latino di Nona e il nome armeno di Hripsime sembra che sia l’alterazione del nome latino Crispina.
In Armenia le vicende terrene di Hripsime, Gaiana (priora) e delle altre 35 compagne, si intrecciano con quelle di San Gregorio l’Illuminatore, apostolo dell’Armenia e alla cui scheda presente nel sito, si rimanda per un approfondimento e con la storia del re dell’epoca l’armeno Tiridate III († 330), che prima nemico del cristianesimo poi una volta convertito, ne appoggiò la diffusione in Armenia, collaborando con San Gregorio l’Illuminatore.
La bellezza della giovane Hripsime non sfuggì all’attenzione del sovrano, il quale fattala venire al palazzo, la invitò a diventare sua moglie, ma la giovane, essendo consacrata a Dio, rifiutò resistendo per oltre due ore a tutte le offerte; secondo la leggenda fu ingaggiata fra i due una lotta accanita, ma Tiridate, pur essendo noto per la sua straordinaria forza, si dovette arrendere.
Fu chiamata quindi Gaiana, perché persuadesse la sua discepola ad accettare l’invito del re, perché ciò avrebbe salvato da sicura morte lei e tutte le altre compagne.
Gaiana invece esortò Hripsime a rimanere fedele a Cristo, che presto sarebbe venuto a coronarla di gloria; fra i presenti c’erano persone che comprendevano la lingua romana, per cui la schiaffeggiarono, la percossero e la misero in carcere con due delle sue discepole.
Hripsime lasciò il palazzo e si ricongiunse con il resto delle compagne; intanto il re Tiridate irritato per il rifiuto, ordinò di uccidere Gaiana, come principale responsabile di quanto avvenuto; ma l’esecutore dell’ordine per confusione e ignorando che Gaiana si trovava nelle carceri del palazzo, uccise invece Hripsime e le 33 compagne che erano con lei a Valeroctiste vicino alla capitale.
Il re Tiridate, il giorno dopo, ancora speranzoso, ordinò che gli fosse condotta davanti Hripsime, ma quando seppe che era stata uccisa, cadde in una profonda tristezza e comandò di decapitare anche Gaiana e le altre due discepole incarcerate.
Secondo l’agiografo, Hripsime e le 33 compagne, furono decapitate il giorno 26 Hori (corrispondente al 4 novembre del 313) e Gaiana e le due vergini il 27 Hori (5 novembre 313).
Pochi giorni dopo il martirio delle sante vergini, s. Gregorio l’Illuminatore fu liberato dal carcere, dove era stato gettato anni prima dal pagano Tiridate III, per ordine della sorella del re Santa Khosrovidukht, perché guarisse il sovrano dalla licantropia, malattia in cui era caduto a causa della tristezza per la morte di Hripsime; la sorella del re aveva ricevuto una visione che le aveva ordinato
di liberare Gregorio.
Il vescovo raccolse le reliquie delle martiri e dopo la guarigione del re e la sua successiva con versione, fece costruire tre cappelle sul luogo del martirio, che custodivano le tombe delle martiri.
Dette cappelle furono restaurate completamente nel VII secolo e in tale occasione furono riscoperte le reliquie;nel XVII secolo alcuni missionari tentarono inutilmente di trasferire le reliquie in Occidente, ma esse sono rimaste in Armenia e le tre cappelle godono di una speciale cura del governo, come gioielli dell’architettura armena.
La Chiesa Armena festeggia le martiri in due giorni successivi, il lunedì e martedì dopo la festa della SS. Trinità; la popolarità di Hripsime, Gaiana e compagne martiri, è dovuta al fatto, che esse con il loro martirio, furono all’origine della conversione di tutta l’Armenia.
Il martirologio Romano le celebra il 29 settembre, mentre la Chiesa Greca le ricorda il 30 settembre.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sante Ripsima, Gaiana e Compagne, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (29 Settembre)
*San

Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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